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  • “amo i tuoi no
    come il panedella vita
    zappo e sudo
    per avere fagioliti somigliala terrache richiede sudoree volontàma io mi faccio la zappala vanga e se non bastarivolto la terracon le mani”[da “Fior di calanco” – Franco Brusa]
    Mi piaceva questa poesia per introdurre il prosieguo delle riflessioni sulla Romagna del vino. Pensieri nati a margine di un’altra serata organizzata da Francesco Falcone in questo progetto di racconto/confronto sull’attualità del vino romagnolo, coinvolgendo attorno ad un tavolo del Quartopiano Suite Restaurant di Rimini ogni volta una rappresentativa dei produttori più rappresentativi in regione.
    Nella situazione proposta da Francesco i produttori si mettono a nudo, a confronto, onestamente, presentando i propri vini ai colleghi, parlando senza timori del proprio modus operandi. E nella nauralezza del discorso che automaticamente ne scaturisce emergono le diverse anime del vino, il sentire e le esperienze di percorsi differenti, le prospettive, le idee, le considerazioni. E non ultimo si assaggiano insieme i vini, scoprendo le tante espressioni di un territorio ampio quanto variegato, le varie declinazioni dei vitigni, autoctoni e non. Si ampliano gli orizzonti, si lavora, divertendosi. Si ha l’impressione di seminare, e farlo con garbo e fiducia. Nella chiosa della serata Francesco ha suonato una sorta di incitamento, una presa di posizione che condivido. In Romagna i vignaioli si devono distinguere: credere nel proprio potenziale, nelle proprie vigne, una volta che ne ha compreso le doti (pregi e difetti compresi). Serve coraggio e pazienza, entusiasmo e attenzione. Serve restare immersi nel flusso del vino, senza farsi guidare dalle mode ma all’opposto senza essere anacronistici. Serve non avere vergogna di mostrare i propri colori e metterli in risalto, piuttosto che uniformarsi ed appiattirsi a gusti dettati dall’esterno.
    I vini assaggiati:
    Costa Archi – Le Barrosche 2018. Vino bianco da uve montuni, varietà autoctona quasi scomparsa. Francesco lo ha definitio giustamente un vino di fibra: sapido, vinoso, con accenni di idrocarburo, agrumi e anice stellato. Sorso corrispondente e tenace, con nervo e tannino a centro lingua. Per tensione e struttura ricorda il greco, nerboruto e saporito.
    Villa Venti – Famoso 2019 “Orangione”. Vino oggi conservato in baginbox, nato per caso, da una partita di vinacce svinate, che lasciate in un contenitore scolmo hanno iniziato a fermentare grazie al tanto succo ancora presente. Le uve del famoso, aromatiche, sottoposte a questa macerazione e fermentazione spontanea tirano fuori note di panettone, scorza d’agrume, condito da accenti ossidativi. Il sorso ha polpa, calore, sapidità, tannino fine, chiusura quasi piccante. Non ha grande slancio e si ferma un po’ a centro bocca, ma è un risultato curioso e interessante per le possibili declinazioni del vitigno.
    Fondo San Giuseppe – Ciarla 2019. Il vino forse più i”in fasce” della serata, attualmente schiacciato dal passaggio in barrique nuove per il 50% del vino. E’ un riesling comunque nitido nella sua forma, agrumato e floreale. Bocca un po’ contratta, ma sicuramente interessante in prospettiva.
    Podere dell’Angelo – Landi 2018. Rebola Colli di Rimini. Rebola declinata in chiave bordolese (fermentazione e affinamento in tonneau), con bella tensione al sorso e segno boisé al naso. Uve tenute una notte in frigo a 5 gradi dopo la raccolta, operazione che esalta i profumi di frutto dolce tropicale, di banana, ananas, maracuja, con una nota linfatica di fondo. Bevuta fresca e saporita, dal finale scalpitante. Peccato un filo di pesantezza nel sorso, un po’ frenato.
    Lisa Masini, collaboratrice di Francesco Bordini presso Villa Papiano, ci ha portato un proprio vino, ottenuto da uve coltivate in una vecchia vigna ad alberello in Predappio Alta, presumibilmente di moscato giallo. Uve diraspate e pigiate a piede, una parte a grappolo intero, e dopo due giorni svinato e fermentato in damigiana. Brillante nel suo colore di oro giovane, aromatico con note resinose, quasi da luppoli esotici. Agrume e timo limonato fresco, tante sfumature aromatiche che si susseguono, per un sorso sapido, secco, pulito e saporoso nel finale, senza pesantezza né note amare. Lisa rivela talento e curiosità, ci regalerà belle cose in futuro.
    Fondo San Giuseppe – Téra 2019. Un vino che disegna in modo limpido le potenzialità del trebbiano in Romagna, specie se da piante vecchie (25 anni per le piante di trebbiano della fiamma e 40 per quelle di un clone locale) ed in terreni vocati come quelli di Valpiana. Naso di terra e sasso, con sottili note di fiori freschi. Ma il sorso è la sua forza, con tensione, ritorno salino profondo, lunghissimo, ficcante. Ridare dignità ad un vitigno troppo bistrattato.
    Vigne dei Boschi – Borgo Casale 2007 magnum. Paolo Babini ci stupisce con una vecchia annata, per sondare le potenzialità dei bianchi romagnoli davanti all’affinamento in bottiglia. Al naso difficile collocarlo in Italia, più facile trovare assonanze con la Loira. Le uve vengono da due vigne vicine ma che maturano a 20 giorni di distanza, per questo vinificate separatamente. Una dà freschezza e una nota verde, l’altra frutta matura, ma entrambe le masse affinarono due anni in tonneau esausti prima dell’assemblaggio. Vino sorprendente, elegante, profondo, saporito, esente da note terpeniche ma generoso in ricordi linfatici, accenti minerali, frutta gialla, spezie. Da provare!
    Tre Monti – Albana Vigna Rocca 2019. Passiamo al mondo dell’albana, sempre provvido di nuove sfumature. I fratelli David e Vittorio Navacchia, titolari di Tre Monti, nella loro storia hanno cambiato stile sull’albana, anche coraggiosamente, arrivando oggi a questa versione, con uve macerate al 100%, per 20 giorni, utilizzando una quota di uve passite e lasciando circa 7 grammi di zucchero residuo. Naso appena rustico, note da whisky e albicocca piena. Potenza e sapore nel sorso, con ritorni di erbe aromatiche. Succoso e piacevole, molto coerente con una visione tradizionale dell’albana.
    Tre Monti – Vitalba 2019. Una quasi estremizzazione dell’albana è questo vino, nato anni fa dal progetto che ha coinvolto tanti produttori romagnoli nell’utilizzo di anfore georgiane. In tal caso le uve macerano senza alcun controllo per 90 giorni, dopo i quali avviene una prima svinatura per un immediato ritorno in anfora. Il colore è poco più pieno, di ambra, il naso più centrato su aromi di miele, resina, corteccia. Il sorso mostra una potenza controllata, con un finale sapido, asciutto, col tannino a pulire un piccolo residuo che qui quasi non si percepisce. 
    Ca’ di Sopra – Romagna Albana Sandrona 2019. Un’altra coppia di fratelli talentuosi, Camillo e Giacomo Montanari, curano vinificano le proprie uve coltivate sui colli di Marzeno, sulla destra orografica dell’omonimo torrente. Sono terre di argille e calcare, al limite dei calanchi. Da pochi anni hanno creduto nelle loro piante di albana, piantate nel 2003. Ed i risultati, dopo continue prove e messe a punto, sono più che confortanti. Ora lasciano macerare il 20% delle uve per una settimana, Naso è terragno, di pompelmo e limone stramaturo, e al sorso mostra tutto il suo essere albana, con pienezza, stratificazione, tannino piacevole. Ancora giovane, con accenti di balsami e resine. Ennesima prova del carattere così cangiante e comunque così riconoscibile dell’albana.
    Dell’Angelo – Fulgor 2019. Un sangiovese da terre riminesi, dove spiccano note alcoliche e qualche riduzione, insieme a note di legno ancora in evidenza. In bocca scalpita, nervoso, con legno in evidenza nel finale di bocca. Vino da tratti selvatici e imperfetti, ma con discreta materia sotto. Il più sfocato dei rossi in degustazione.
    Bissoni – Romagna Sangiovese Superiore Girapoggio 2018. Questo è forse il rosso più spigliato di Raffaella Bissoni, viticoltrice appassionata e attenta agli equilibri naturali della sua azienda sin dagli esordi, negli anni 90. Il vino anche in questo caso rivela una nota foxy, selvaggia, ma anche di bosco e radici. Le vigne sono trentennali piantate su terreni di sabbie marine sedimentare e spungone, che lasciano la loro traccia sapida nel finale, insieme a un tannino dolce e accenti speziati. 
    Noelia Ricci – Romagna Sangiovese “Il Sangiovese” (la vespa) 2018. Efficace il lavoro di Marco Cirese, che ha rimodulato l’azienda di famiglia, improntandola ad una valorizzazione del territorio, selezionando i migliori vigneti e cercando di trarne vini slanciati e saporiti, più votati alla gastronomia che a collezionare punti nei concorsi. Qui il vino è appena in riduzione, ma rivela un frutto vivo, un sorso nervoso, teso, piccante, che scalpita e scalda nel finale, con un tannino fitto seppur molto fine. Uve da vigne tra 250 e 340 metri di quota, su sabbie e arenarie, con zone calcaree nelle parcelle più alte. Fermentazione e affinamento avvengono in acciaio. Bicchiere gustoso e fine.
    Noelia Ricci – Romagna Sangiovese Predappio Godenza 2018 (la scimmia). Sempre solo acciaio come contenitore di affinamento, ma con una macerazione sulle bucce di qualche giorno più lunga, come pure l’affinamento in bottiglia, di un anno in più prima di uscire, rispetto a “La Vespa”. Frutti e fiori scuri, con sfondo di sasso. Scorre fresco, equilibrato, con maggiore trama e sapore. Una marcia in più, anche in termini prospettici. 
    Costa Archi – Romagna Sangiovese Serra GS 2015. Beviamo in anteprima questo vino di Gabriele Succi, che uscirà solo nel 2021. Naso impressionante, davvero da grande vino: incenso, resine, spezia, cannella, origano, ciliegia, ferro. Il sorso è asciutto, sanguigno, succoso, dolcemente agrumato. L’ennesimo vino che scompagina canoni e preconcetti. Viende da una vigna giovane, piantata nel 2009, alla sua prima annata (buonissima) nel 2011. Originariamente produsse un grappolo per pianta, e doveva confluire nell’Assiolo, ma si distingueva, e Gabriele lo tenne da parte. La vigna peraltro è posizionata in basso, in zona quasi piana, su argille rosse con inserzioni calcaree. Diraspatura delicata, quindici giorni di macerazione, con follature manuali, poi svinatura e passaggio in tonneau esausti, dove resta tre anni per poi fare massa in cemento, senza chiarifiche né filtrazioni. Questo vino è figlio di due raccolte e due rispettive vinificazioni (su un campo di 4000 mq), i cui vini sono stati assemblati solo al termine dell’affinamento in legno. Un vino da comprare “en primeur”. 
    Pertinello – Pinot Nero 2019. Dalle prime impressioni di febbraio ad oggi questo vino ha fatto grandi passi, che ho provato sulle mie papille. Ora il naso è un misto di aromi boschivi e carne, con accenti di agrume scuro. Segna un nuovo corso dei vini di Pertinello, con l’aiuto e la voglia di sperimentare di Francesco Falcone, che affianca Filippo Leoni nelle scelte di cantina. In questo caso uve prese solo dalla vigna nuova, del 2016, con fermentazione spontanea in barrique esauste, con un 25% di uve a grappolo intero. Ancora in fase interlocutoria, si concede con cama all’aria, ma al palato mostra toni scuri, suggestioni di chinotto e radici, finale sapido e tannino sottile.
    Villa Venti – A 2018. Vino prodotto in quantità ridotte, di 3000 bottiglie, corrispondenti al contenuto dell’unica anfora georgiana utilizzata per questo rosso unico, da uve centesimino vinificate lasciando per 6 mesi gli acini interi nel contenitore. I profumi sono molteplici e cangianti, tra note erbacee di aromatiche, carne, tempere, rosa canina, frutti rossi. Il sorso rimane snello e fresco, diretto, franco, succoso. Versione davvero imperdibile di un vitigno non facile da gestire, qui declinato in maniera elegante ma affatto lontana dalle sue peculiarità.Pertinello – La Memoria di Pertinello. Vera chicca della cantina, unica uscita che unisce tra diverse annate di sangiovese vendemmiato tardivamente e vinificato in botte scolma. Per gli amanti del Vin Santo un perla imperdibile: fresco, tenace, note ossidative che virano su cortecce, tabacco, resine, scorze di agrumi, il sorso è asciutto, saporito, invitante, con residuo contenuto, scorrevolezza invidiabile.. Ancora un esempio di come in Romagna si possano produrre vini sublimi, magari osando e sfruttando condizioni particolari.Pertinello – Il Giglio di Pertinello, Albana Passito 2019. Vino che sfrutta anche l’acidità di una piccola quota di riesling vendemmiato tardivamente, e su entrambe e uve gode della complessità regalata dall’attacco della muffa nobile.  Affinato in damigiana, fa perno attorno a una volatile alta, che ne alleggerisce anche la beva, trascinando i profumi di fiori, agrumi, spezie, e riportandoli anche al sorso, mai stucchevole anzi dinamico e condito dal tipico accento tannico del vitigno, oltre che da una bella vena sapida. Bissoni – Albana Passito 2016. Altra bella declinazione dell’albana versione passito, questa volta da terreni su base di spungone, e con spirito più “sauterneggiante“. Qui in questa annata la botrytis ha colpito il 100% delle uve, e la caratterizzazione è netta. Si distinguono dolci note di pesca gialla e melone, vaniglia, albicocca, poi camomille e cenni di zafferano. Il sorso è avvolgente e ricco di sapore, quasi piccante per l’insieme ben fuso di calore, sale, acidità e velo tannico. Una coccola. Gli assaggi hanno confermato le ipotesi. Distinguersi diventa un dovere, davanti a un territorio così sfaccettato per le possibili combinazioni di luoghi, uve, umanità. Cioè non bisogna avere timore di mostrarsi diversi, né doverlo apparire a tutti i costi. Serve forse prendere coscienza di quello che si ha per le mani, valorizzarne l’unicità e non vergognarsene. In tanti questa strada sembrano averla imboccata, i vini parlano chiaramente. L’auspicio è che si continui dal lato dei produttori, che si allarghi il movimento di chi propone questa varietà di colori, da chi mesce e vende vino, e non si abbia paura di scoprire la diversità, sul fronte dei consumatori.
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