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Daniele Galler:”Nel mondo del vino si tende troppo spesso a catalogare ed etichettare”

Daniele Galler insieme a Raffaele Fischetti gestisce una delle pagine social più seguite dagli appassionati del vino “Sommelier: appunti di degustazione”.

Apprezzo molto il suo stile e l’umiltà con cui si approccia a questo delicatissimo settore. Daniele è relatore FIS e lavora ormai da tempo con una importante realtà vitivinicola dell’Alto Adige, Cantina di Bolzano. Insieme a Raffaele ha formato una bella squadra dove si ammira anche il loro humor e simpatia.
Bravo manager e grande conoscitore dell’enologia, delle dinamiche vitivinicole e comunicative.
Ho voluto conoscere più da vicino Daniele, proponendogli un’intervista per Vinoway.

Daniele, hai frequentato gli studi enologici all’Istituto Agrario San Michele all’Adige, cosa vuoi fare “da grande”?

Da piccolo la mia passione mi portava ad immaginarmi tra i fornelli di un grande ristorante, ho sempre avuto una forte attrazione per tutto ciò che è profumo e sapori, la mia strada poi ha incrociato quella del vino, e ho realizzato che la soddisfazione dei sensi può passare anche attraverso il sacro nettare di Bacco. Da grande, ma anche da vecchio, mi vedo in questo mondo, alla bramosa ricerca del miglior vino della mia vita, del vino perfetto.

Lavori con Cantina di Bolzano dal 1997: cosa hai dato e cosa ti sta dando questa esperienza lavorativa?

Ho ricevuto innanzitutto la consapevolezza della mia ignoranza, un dono prezioso che spinge a migliorarsi quotidianamente. Ho imparato a lavorare in team, a far valere le mie idee senza prevaricare gli altri ma motivandole, ho avuto la possibilità di “imparare a fare il vino” e di saperlo assaggiare in modo critico. Ho avuto, grazie al mio lavoro, la possibilità di viaggiare, di incontrare persone, di confrontarmi sul vino e di crescere. Ho dato forse meno di quanto ho ricevuto, ma ho donato con generosità le mie conoscenze il mio tempo e il mio entusiasmo.

Dici di non prediligere i vini blasonati e vai sempre alla ricerca di novità da degustare. Come deve essere un vino per entusiasmarti?

Quando mi siedo al tavolo di un ristorante, sono spesso in lotta con me stesso. Sulle mie spalle, ho da un lato un angioletto buono che mi suggerisce la ricerca di un vino che bene si adatti alla pietanza che sto per gustare, sull’altra un diavoletto punzecchia con il suo forcone la mia incontenibile curiosità, spingendomi ad assaggiare ciò che non conosco, suggerendomi di farmi beffe di ciò che è razionale e sensato. Inutile dirlo, sono un seguace del male. La curiosità è senza dubbio la chiave giusta per convincermi a scegliere un vino. Amo alcuni vini blasonati, ne ho nel cuore diversi, ma ho più soddisfazione quando ad appagarmi è un vino che non conoscevo. Nella scelta di un vino assecondo il mio stato d’animo, ma dovendo scegliere, preferisco l’eleganza piuttosto che l’opulenza, l’equilibrio piuttosto che la potenza, insomma, bevibilità in primis.  Il vino buono, per me, è quello che si beve senza accorgersi che la bottiglia purtroppo, è già finita.

Pur essendo un grande appassionato di enologia, ti istruisci leggendo molto ed assaggiando varie tipologie di vini: forse non ti senti ancora appagato dalla tua istruzione, cosa credi ti manchi ancora?

Credo e spero, di non aver ancora assaggiato il miglior vino della mia vita. Da qui nasce la mia insoddisfazione e la mia ricerca. Amo capire il mondo del vino sotto tutti gli aspetti con cui si presenta: la produzione, la parte commerciale, la sommellerie e la ristorazione. Il mondo del vino è talmente ampio e variegato che non si può mai dire di essere arrivati, impossibile. Impossibile sentirsi appagati, ma infondo la mia è semplice curiosità.

Fammi i nomi di cinque enologi che ammiri e di cui ti piace la loro idea di produzione.

Il primo non può che essere Émile Peynaud, per i suoi testi “Trattato di enologia” o “Il gusto del vino” per la sua visione modernista e migliorativa di Bordeaux, per il suo essere pioniere nel making del vino. A seguire il maestro Giacomo Tachis, allievo di Peynaud e artefice di alcuni tra i vini più importanti dell’enografia nazionale: Sassicaia, Tignanello, Solaia, Turriga, Pelago, San Leonardo e molti altri che per sua richiesta non gli sono stati attribuiti. Umile e Grande. Poi Didier Dagueneau, biodinamico convinto ma non integralista, irremovibile nelle sue convinzioni ma aperto al dialogo critico, autore di uno di quelli che fu uno tra i migliori sauvignon mai assaggiati, purtroppo irreplicabile. Segue Jacques Boissenot che ha partecipato dietro le quinte alla creazione di molti capolavori tra cui: Lafite Rothschild, Latour, Margaux, Mouton Rothschild, Léoville Las Cases e molti altri ancora, lascia le sue conoscenze al figlio Erik altrettanto talentuoso. Chiudo con Denis Dubourdieu che a Château d’Yquem e a Château Cheval Blanc ma anche in Italia in Umbria e Piemonte ha fatto grandi cose.

Sei anche un bravo “cuciniere”, quanto è utile e importante l’abbinamento cibo-vino?

Il vino, da solo, fine a sé stesso è meno della metà del piacere che può donare, esistono ottimi vini da meditazione e da conversazione, ma un abbinamento ben riuscito, non somma il piacere, lo eleva al cubo. Assecondate la vostra curiosità, i vostri sensi e l’istinto, e dopo aver trovato il “giusto” abbinamento, osate ancora.

Se ti dicessi vino “naturale” come mi risponderesti?

Sto imparando con l’età a non cedere alle provocazioni, io divido il vino in due tipologie e questi due gruppi non sono bianco o rosso, nemmeno naturale o tradizionale, ma buono e non buono. Ci sono vini buoni e vini pessimi in ogni categoria. Quello che mi preme però dire e di fare attenzione ad associare il termine sano, al naturale e velenoso al tradizionale. Ma il discorso è troppo ampio per affrontarlo qui. Un solo consiglio, bevete di tutto, con senso critico e apertura mentale.

Si parla anche di vino “comune”, vino “commerciale”, vino “convenzionale”, vino “piacione”, vino “internazionale” ed altro, secondo te è corretto identificare la produzione vinicola con questi appellativi?

Si tende troppo spesso a voler catalogare, razionalizzare, archiviare, etichettare, l’ho scritto prima, il vino si divide in buono e non buono, oggettivamente, e non legato a gusti personali. Conosco gente a cui piace il vino non buono.

Tu sei anche un bravo “uomo social”, come giudichi la preparazione dei followers e come consideri le reazioni a volte spropositate di alcuni di loro?

La cultura del vino cresce anche grazie ai nuovi canali di comunicazione, vedo voglia di conoscere e voglia di esternare le proprie esperienze, questo mi piace. Nel ruolo delle parti, c’è ovviamente anche chi è a caccia di visibilità e si ritaglia un ruolo che spera sia da protagonista, la maggiorparte delle volte il cinismo del web espelle automaticamente queste figure.

Quali doti deve possedere un bravo manager che lavora nel settore vino?

Attenzione alle richieste dei consumatori, cercando però di non seguire le mode e abbandonare le tradizioni, ma cercando di essere un buon comunicatore. Deve saper ascoltare. Ma soprattutto, come per ogni professione deve amare il proprio lavoro.

Cosa vuoi che ti auguri?

Di non incontrare troppo presto il miglior vino della mia vita.


Fonte: https://www.vinoway.com/approfondimenti/vino/interviste.html?format=feed&type=rss


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