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Quelle carte ritrovate in un cassetto nella Tenuta di Angoris

Rovistando nei cassetti polverosi dell’antica mobilia di Villa Locatelli, Marta Locatelli, l’attuale proprietaria della Tenuta, si è imbattuta in alcuni scritti che a prima vista avevano le sembianze di banalissime lettere commerciali datate 1971 e 1972. Una scoperta che lì per lì non suscita particolari entusiasmi, ma poi Marta legge più a fondo: “Egr. Sig. Aldo Locatelli, a seguito sua lettera scritta a Milano alla mia ditta, è stata mia premura di mettermi in contatto telefonico con lei […] le spedisco pertanto un catalogo con il relativo prezzo del nostro Bollinger e ancora: “Riscontriamo la stimata Sua del 19 corr. e Le comunichiamo di mettere in sdoganamento le 12bt. Champagne KRUG P.C.B.R. da Lei cortesemente ordinate, che le cederemo al prezzo di L. 4.800. = cad. […] e ancora dalla Guido Berlucchi & C.: “Siamo lieti di rispondere alla pregiata Sua del 22.11.71. Qui allegato le rimettiamo un ns. listino prezzi […] La nostra azienda produce i seguenti tipi di vino: Pinot di Franciacorta naturale, vino bianco secco, Pinot di Franciacorta spumante in 4 versioni, ecc. Marta intuisce che l’acquisto di alcuni Champagne e di spumanti Metodo Classico italiano altro non erano che “materiale” da studio per la produzione dello spumante di Angoris che sarebbe iniziata nel 1973. Marta in un lampo si convince che questo è un ottimo spunto per organizzare una degustazione alla cieca, andando a recuperare i vini con cui “studiava” Aldo Locatelli, aggiungendo qualche Metodo Classico del Friuli-Venezia Giulia, giusto per fare anche il punto sullo stato dell’arte della qualità delle bolle indigene compreso, Ça va sans dire, il 16 48, lo spumante Metodo Classico di Tenute di Angoris.

La degustazione, grazie alla presenza dello storico del vino Stefano Cosma, è anche l’occasione per ricordare e ricordarci che la tradizione spumantistica del Friuli-Venezia Giulia non è nata ieri. Citano alcuni scritti che correva il 1853 quando un produttore di Gorizia portava ad una esposizione internazionale la sua Ribolla Sciampagna o ad uso Champagne. Nel 1857 il Governo di Vienna emanava l’esenzione dal dazio per il vino spumante, purché venduto in partite di almeno cinquanta bottiglie. Nel 1866 si scrive di vini spumanti sul periodico della Società agraria di Gorizia, con una spiegazione del metodo di vinificazione (senza il dégorgement, cioè senza togliere i lieviti, perciò rimanevano torbidi). Nel 1872 sul periodico L’Isonzo si parla di un assaggio così descritto: su 195 vini, 7 sono spumanti, di cui uno da uve di Refosco.

Certo, il 1670 e l’Abazia di Hautvillers vengono molto prima, ma un minimo di blasone il Friuli-Venezia Giulia può vantarlo direi.

La degustazione

Va fatta una premessa. È vero che la tradizione spumantistica del Friuli-Venezia Giulia risale alla seconda metà dell’Ottocento, quindi magari si potrebbe arrivare a dire che ha radici più profonde rispetto ad altre zone spumantistiche italiane più titolate, ma è anche vero che il Metodo Classico fatto in Friuli-Venezia Giulia non potrà mai conquistare fette di mercato importanti. Alcuni produttori si dilettano con le bollicine giusto per completare il loro catalogo, che poi facciano spumanti di grande livello è un altro discorso, ma non esiste la cosiddetta “massa critica”. Il discorso potrebbe essere diverso per la Ribolla Charmat, ma non voglio addentarmici, al momento non mi pare abbia trovato una strada definita, eccezione fatta per due produttori, che a ben guardare, utilizzano un sorta di metodo di produzione tutto loro: il Metodo Collavini, uno Martinotti-Charmat con tempi e tecniche riservate al Metodo Classico per la Ribolla di Collavini e il Brut Nature “R_B_L__” de i Clivi che non è né Metodo Classico né Charmat, ovvero senza nessuna seconda rifermentazione.

Bene, detto questo, come diavolo si sono posizionati queste Bollicine Metodo Classico del Friuli-Venezia Giulia?

La batteria prevedeva la degustazione, rigorosamente alla cieca e nell’ordine di servizio così come scritto, questi vini:

Gran Cuvée dell’azienda Villa Parens (Friuli-Venezia Giulia), Brut Rebolium Sinefinis dell’azienda Gradis’ciutta (Friuli-Venezia Giulia e Slovenia), Sedici Quarantotto della Tenuta di Angoris (Friuli-Venezia Giulia), Gran Cuvée Blanc de Noir dell’azienda Travaglino (Oltrepò Pavese), Franciacorta ’61 Nature dell’azienda Guido Berlucchi, Cava Brut Reserva Heredad della Segura Viudas (Spagna), Champagne Brut Special Cuvée Bollinger e Champagne Brut Grande Cuvèe 166eme Edition Krug.

Diciamo che ne sono usciti complessivamente bene, tra gli italiani, tutto sommato, non ho trovato grandi distanze. Certo è che non dobbiamo cadere nell’errore, abbastanza puerile, di mettere i friulani a confronto con il trittico finale: Reserva Heredad, Bollinger e Krug 166eme Edition, siamo su pianeti diversi. I friulani sono però vini di buona- ottima fattura, oltre a quelli degustati, mi vengono in mente anche il Talento Brut etichetta oro di Pittaro o il Blanc de Blancs Brut di Marco Felluga, per esempio. I friulani hanno un’identità definita, spiccano per acidità e sapidità con note floreali in bella evidenza. Sono convinto anche che, in generale, una maggiore sosta sui lieviti attenuerebbe qualche spigolosità e donerebbe più in carattere.

Dopo la degustazione, a tavola, Marta Locatelli, ha presentato ai convenuti l’anteprima della nuova annata dello Spìule Chardonnay 2017 Riserva Giulio Locatelli e i pianeti, magicamente, si sono riallineati; qui il vino di Angoris e i Colli Orientali non temono nessuno, alla cieca anche il degustatore più scafato potrebbe avere qualche sorpresa, prendendo un clamoroso granchio sul luogo di provenienza.


Fonte: http://www.lastanzadelvino.it/feed/


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