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Luigi Moio: un lievito selezionato non ha niente di chimico è un lievito naturale

Scrivere un curriculum del Professor Luigi Moio è cosa alquanto difficile e laboriosa dato l’altissimo numero di cariche, studi, pubblicazioni scientifiche e libri che ha all’attivo. Volendo riassumere in modo del tutto restrittivo, non si può non ricordare il suo incarico come Professore Ordinario di Enologia presso il Dipartimento di Agraria dell’Universita’ degli Studi di Napoli “Federico II”, e la recente nomina alla Vicepresidenza dell’OIV (Organizzazione Mondiale della Vigna e del Vino), organizzazione intergovernativa composta da 47 stati membri e dalle associazioni di settore più importanti del mondo.

Ciò che però più colpisce di Luigi Moio è la sua grande capacità divulgativa, che gli ha permesso di rendere il mondo del vino, a tratti snob ed autoreferenziale, alla portata del vasto pubblico di appassionati e neofiti, coinvolgendolo in argomenti tecnici e a primo acchito ostici, con la chiarezza e lo stile didascalico e descrittivo che lo caratterizza. Non a caso il suo libro “Il respiro del vino”, edito nel 2016 da Mondadori, e rappresentazione di venti anni di ricerca sugli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici del vino, è stato un grande best seller, così come tutti i suoi seminari in giro per l’Italia, che hanno avuto il merito di innalzare l’entusiasmo e l’interesse generale nei confronti del vino.

Vino di cui il Prof. Moio, rispolverando una antica tradizione familiare, è egli stesso diventato produttore dal 2001, nella sua cantina di Mirabella Eclano, Quintodecimo. Una passione che lo ha reso prima uomo di scienza e cattedratico, e in seconda battuta interprete, attraverso i suoi vini, del territorio campano, ricco e generoso per caratteristiche e potenzialità.

Ho incontrato Luigi Moio a Ciak Irpinia.

Quali sono le peculiarità della vitivinicoltura campana?

La Campania, come gran parte delle Regioni italiane, costituisce un Paese del vino all’interno di un Paese più grande, con un’enorme differenza in termini di variabilità di suoli, clima, mare. Per esempio, la zona dell’Irpinia è formata da colline e montagne, con caratteristiche specifiche quali la presenza di piogge, la pendenza dei suoli e le fortissime escursioni termiche, che nei mesi di luglio e agosto provocano una differenza anche di 20° tra il giorno e la notte. I vitigni tipici di questo areale sono Fiano, Greco, Aglianico e negli ultimi anni anche la Falanghina. Lo stesso dicasi per il Sannio, caratterizzato da un territorio montagnoso con aree di coltivazione a un’altitudine più bassa rispetto a quelle dell’Irpinia. Anche in questa zona, l’escursione termica, la presenza di piogge e i suoli argillosi favoriscono risultati interessanti per i principali vitigni come Falanghina e Aglianico. Nella parte esterna, quella del litorale napoletano e casertano, troviamo i vitigni Pallagrello Bianco e Casavecchia, mentre nella parte più bassa della Campania c’è la zona del Falerno, in cui si trova il primo Cru della storia del vino, indicato sin dai tempi degli antichi romani. Napoli, con i suoli vulcanici dell’area Vesuviana, sta dando risultati interessanti con uve come Caprettone, Catalanesca, Falanghina dei Campi Flegrei e Piedirosso. La zona di Salerno e della Costiera Amalfitana ha uve molto speciali in quanto strettamente legate a quei contesti, come la Pepella, la Ginestra, il Fenile. Più a Sud troviamo il Cilento, area vitivinicola interessante, basata sulla coltivazione di Fiano e Aglianico, ma con risultati diversi rispetto a quelli che si ottengono in Irpinia a causa dei diversi agenti atmosferici. Attualmente la Campania sta vivendo un momento particolarmente favorevole grazie ad un’offerta di vini molto varia, determinata da vitigni così intimamente legati al territorio e da differenze climatiche e pedologiche davvero significative.

Se volessimo fare un confronto, a quale altra regione italiana potremmo paragonare la Campania da un punto di vista pedoclimatico?

Le aree interne, Irpinia e Sannio, indubbiamente si potrebbero paragonare a Regioni del Nord quali Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, alto Piemonte e Val d’Aosta, con caratteristiche che ci riportano alle zone alpine a causa del clima estremamente rigido. Ogni anno, infatti, siamo interessati da una decina di giorni di precipitazioni nevose, ma molto spesso ci si dimentica che l’Italia è un Paese montuoso, con la catena degli Appennini lunga quasi 1500 km che la attraversa. La parte del litorale tirrenico invece, si potrebbe paragonare a regioni italiane quali Sicilia, Toscana e Liguria, grazie al clima mediterraneo e caldo.

Si è notato, in questa degustazione fatta a Ciak Irpinia, un miglioramento della Falanghina e del Greco di Tufo, un posizionamento stabile del Fiano, ma, altresì, un po’ meno per il Taurasi 2015. Che cosa è accaduto?

Sui vini rossi l’annata è fondamentale per la produzione. Come ho sempre asserito, il vino rosso viene prodotto principalmente con la buccia e, per ottenere una certa omogeneità, bisogna avere dei grappoli sanissimi. Per questo motivo l’uva rossa risente maggiormente di annate particolarmente sfavorevoli dal punto di vista della piovosità, come accaduto nel 2015, in cui purtroppo ci sono state molte piogge a ridosso della vendemmia. Per ottenere un prodotto finale migliore è certamente possibile intervenire in cantina per cercare di rimediare, ma ogni azienda interpreta le modifiche in modo diverso in base alle proprie caratteristiche di produzione, non riuscendo quindi ad ottenere un’omogeneità territoriale. Quando invece l’annata è perfetta allora questi problemi non sussistono. Sono contento che i bianchi abbiano riscontrato una maggiore omogeneità, frutto dell’annata e del lavoro svolto dal Consorzio, con iniziative specifiche che hanno lo scopo di guidare, suggerire e condurre la produzione delle diverse aziende.

I “naturalisti” asseriscono che bisogna utilizzare solo ed esclusivamente lieviti indigeni anziché quelli selezionati. Lei cosa risponde?

Finora ho sempre parlato di processi naturali. Come ho già detto, per produrre un vino di grande qualità è necessario avere un grappolo di qualità, stop. Il lievito ha un ruolo di minor importanza in questo processo, in particolare nella vinificazione dei rossi. Inoltre, per fare un vino che sia espressione di una identità territoriale, bisogna evitare le deviazioni olfattive, ed è possibile farlo anche senza l’impiego di un lievito selezionato, nonostante questo garantisca una maggiore sicurezza e una migliore fermentazione alcolica. Un lievito selezionato non ha niente di chimico, non ha niente di strano, è un lievito naturale che è stato isolato dagli altri presenti in natura e caratterizzato. Se per esempio si vuole portare in bottiglia un vino senza solfiti, a maggior ragione un lievito selezionato aiuterà nel portare avanti questo tipo di risultato. Perchè il vino si sta imponendo come fenomeno mondiale? Intanto è vita, e questo dimostra che è necessario un lievito cioè un organismo vivente, biologico, capace di trasformare lo zucchero in alcol. La fermentazione è un processo legato proprio alla vita di questi organismi. Ed è anti-standard per definizione, in quanto esistono un’infinità di vini che ognuno di noi potrebbe divertirsi a riconoscere nel bicchiere a causa della presenza di qualche difetto olfattivo che crea diversità. Penso spesso che anche nell’ambito della stessa cuvee, due bottiglie possano essere diverse, cosa che capita in pochissime altre bevande. Tutto questo fa parte della bellezza del vino. Non mi piace creare fronti diversi o polemiche, sono un ricercatore scientifico quindi per me esiste l’approccio scientifico nei confronti di una verità. L’importante è che ci sia una logica e un ragionamento dietro le decisioni.

Perchè un vino prodotto in una zona areale importante diventa, nel tempo, un grande vino?

Negli ultimi anni i vini sono generalmente migliori ovunque, perchè se qualcosa non va bene durante il lavoro in vigna è possibile compensare durante il processo di produzione. I grandi vini, invece, non è possibile farli ovunque, ma solo se si verificano alcune condizioni, quali una perfetta sintonia tra pianta, suolo e clima, tale da ottenere un grappolo d’uva che abbia tutti i componenti in perfetto equilibrio. In questo caso l’enologo diventa solo un assistente del processo in quanto il vino è stato creato per gran parte dalla natura (non in toto perché il vino è innaturale), con l’aiuto dell’uomo che ha piantato l’uva giusta al posto giusto, avendone cura in modo rigoroso. Solo in questa situazione si creano le condizioni per ottenere, con interventi minimi, un vino armonico, preciso e perfetto. I grandi vini invecchiano rimanendo giovani.


Fonte: https://www.vinoway.com/approfondimenti/vino/interviste.html?format=feed&type=rss


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