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    Antinori – risultati e analisi di bilancio 2019

    Il 2019 sarà per Antinori l’ultimo di una lunga serie caratterizzata da costanti progressi nelle vendite, negli utili e soprattutto nella generazione di cassa. In questo ultimo esercizio prima di fare i conti con la pandemia, l’azienda ha messo a segno un progresso del 5% del fatturato e del 3% dell’utile operativo e ha accumulato altri 25 milioni di euro di cassa netta, arrivata a 80 milioni di euro. Le cose sarebbero potute andare anche meglio se non si fosse verificato un ritardo nelle spedizioni nel mercato americano. Antinori è anche una delle poche aziende ad aver messo nero su bianco una stima del calo delle vendite derivante dalla pandemia (-20%), ovviamente redatta al momento del bilancio (quindi verso metà anno) e da prendere con le pinze dato che assume non si verifichi un secondo lock-down. Detto questo, è ovvio che vista la solidità finanziaria di cui abbiamo detto sopra e i margini molto elevati (circa 35% a livello di utile operativo), il 2020 sarà soltanto un anno brutto (magari anche un pezzo di 2021), ma senza conseguenze strutturali e durature. Passiamo all’analisi dei numeri.

    Le vendite crescono del 5% a 246 milioni di euro, con un progresso del 13% in Italia, del 2% in Europa e un calo del 10% in USA, che essendo temporaneo, ha tolto un paio di punti alla crescita totale delle vendite. Nel resto del mondo, invece, le vendite sono cresciute del 9%. Le vendite “core” di vino sono 208 milioni e cresciute del 4%, sono invece in progresso più importante quelle della ristorazione e del dettaglio diretto, +10% a 20 milioni. Raddoppiano quelle del settore ospitalità a 5 milioni, a fronte di una piccola acquisizione nel settore immobiliare.
    I margini sono in leggero calo in relazione alle vendite, ma il confronto è con un 2018 eccezionale. Va anche rilevato che l’acquisizione immobiliare ha avuto un impatto diluitivo. Nel 2019 è ulteriormente aumentato il “margine industriale”, ma si sono appesantiti i costi del personale e gli altri costi esterni. L’utile operativo tocca quota 84 milioni, +3% e al 34.4% delle vendite contro il 35.1% del 2018.
    L’utile netto di 76 milioni cala del 3% ma richiede numerose precisazioni. In senso positivo, 5 milioni di proventi finanziari, con il contributo (penso straordinario) dei dividendi dalle partecipate americane; in senso negativo, il fatto che Antinori nel 2018 aveva cumulato nelle tasse tre anni di benefici di patent box (14 milioni). Tali benefici sono presenti anche nel 2019 in misura molto minore (aliquota fiscale del 15% per un beneficio di 5 milioni, quindi circa 6 punti di aliquota consolidata).
    Della parte finanziaria abbiamo detto. Antinori ha investito 39 milioni, un po’ più che nel 2018, completando la ristrutturazione di Palazzo Antinori a Firenze oltre a nuovi investimenti nella cantina acquisita di Rubbia al Colle e a nuove risorse nelle strutture di ospitalità. La posizione finanziaria netta è positiva per 80 milioni di euro e a fine 2019.
    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    I numeri della viticoltura biologica in Italia – aggiornamento 2019

    Con il livello di ettari in conversione più basso dal 2014 a questa parte, la spinta verso il biologico sembra rallentare. Questo ci dicono i dati 2019 appena pubblicati da Sinab in collaborazione con ISMEA. L’Italia è chiaramente uno dei paesi più avanzati sul tema, come abbiamo sottolineato in questa analisi pubblicata lo scorso anno. La penetrazione delle superficie bio di 109mila ettari del 2019 rispetto alla superficie totale vitata riportata da ISTAT è del 17%. Di questi 109mila, 84mila sono convertiti (+13%), mentre 26mila sono in fase di conversione (il 20% in meno dell’anno scorso). Le regioni storicamente più importanti nel segmento bio, quindi Sicilia, Toscana e Puglia, non crescono più, mentre il fenomeno si sta allargando alle altre regioni. Da notare il forte incremento registrato in Veneto (+30%). Vi segnalo e allego un grafico, direttamente proveniente dal rapporto ISMEA-SINAB, che vi mostra la penetrazione dei vini bio in GDO su alcune denominazioni. Passiamo ai dati.

    La superficie vitata bio in produzione è attualmente di 84mila ettari, in crescita del 13% sul 2019. Insieme ai 25mila ettari in conversione (invece in calo del 20%) si arriva ai 109mila ettari totali, il 17% della superficie vitata.
    Mediando le superfici in fase di conversione che strutturalmente sono intorno ai 32mila ettari medi negli ultimi 5 anni con l’aumento medio delle superfici (in tutto 37mila ettari nei 5 anni) si può evincere che c’è un “tasso di abbandono”. Se la conversione dura 3 anni e sono in conversione sempre 32mila ettari, la crescita dovrebbe essere di 10mila ettari annui (un terzo dei 32mila), mentre invece parliamo di circa 7-8mila ettari annui in più. Si potrebbe dunque dire che il 30% circa delle superfici in conversione non completano il processo.
    Passando alle regioni, come dicevamo e come si vede bene dal grafico a barre, sono le “nuove” del biologico a spingere, mentre Sicilia, Puglia e Toscana, che insieme fanno il 57% del totale sono ferme ai 62mila ettari totali dello scorso anno.
    I maggiori sviluppi in valore assoluto sono in Veneto (+1866 ettari, totale 8000, ancora solo il 10% della superficie totale) e Emilia Romagna (+661 ettari, totale 5200, anche qui solo il 10%). Come dire che sta arrivando l’industria del vino nel biologico, essendo queste dure regioni quelle dove troviamo (insieme a Toscana e Piemonte) le più importanti aziende del settore in termini dimensionali.
    Vi incollo anche il grafico con le vendite bio sul totale di alcune denominazioni come pubblicate nel rapporto.
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    Gruppo Italiano Vini (GIV) – risultati 2019

    Per la prima volta nella sua storia GIV supera quota 400 milioni di fatturato, esattamente 409 milioni nel 2019. Ma a fronte del positivo andamento commerciale non si riscontra un altrettanto positivo riscontro in termini di utili e generazione di cassa. Nel 2019 il margine operativo lordo sale da 17 a 20 milioni di euro ma resta ben sotto quello degli anni scorsi, mentre la normalizzazione degli oneri finanziari fa calare l’utile a meno di 6 milioni dai 7 dello scorso anno. Va specificato che una parte significativa (forse tutto) di nuovo fatturato è da attribuire al nuovo contratto di distribuzione in USA dei prodotti del principale azionista CR/CIV (oltre al riacquisto di un paio di marchi del gruppo nel mercato), e dunque il dubbio che sia un incremento di fatturato a basso margine potrebbe venire. Ad ogni modo, il bilancio 2019 è comunque migliorativo rispetto al 2018. Andiamo a commentare qualche numero.

    Le vendite salgono a 409 milioni di euro, +5%, con un incremento dell’1% in Italia a 99 milioni (dopo 3 anni molto positivi) e un +7% nei mercati esteri. Abbiamo già detto del nuovo contratto di distribuzione (oltre che il riacquisto dei marchi Bolla e Fontana Candida nel mercato), che ha portato la controllata americana di GIV da 116 a 149 milioni di dollari di vendite, quindi +33 milioni di dollari e circa +30 milioni di euro di fatturato. Si confrontano con +21 milioni di euro a livello consolidato, lasciando ipotizzare che senza questa operazione “straordinaria” rispetto al passato avremmo commentato dei numeri molto meno positivi.
    I costi di produzione sono allineati al 2018, con l’unica eccezione del costo del personale che sale dal 12.5% al 14% delle vendite per via di costi (credo straordinari) di trattamento di fine rapporto, passati da 1.1 a 5.5 milioni di euro. Molto strano.
    Il margine operativo lordo sale da 17 a 20 milioni, per un margine del 5.3% (4.8% nel 2018), mentre l’utile operativo cresce del 18% a 10 milioni di euro, per un margine del 2.4%. Sotto, oneri finanziari tornati normali a 1 milione di euro, 28% di aliquota fiscale, per giungere a un utile netto di 5.7 a livello consolidato, sotto il livello di 7-7.5 milioni degli ultimi tre anni.
    Il debito è quasi stabile a 131 milioni di euro, dopo investimenti per 14 milioni di euro la distribuzione di 3 milioni di euro agli azionisti. Come vedete dal grafico allegato, il rapporto debito patrimonio resta intorno a 0.83, mentre il rapporto debito su EBITDA pur migliorando rispetto al picco del 2018 è sempre intorno a 6 volte.
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    Guido Berlucchi – risultati 2019

    Il 2019 è stato un anno lineare per Berlucchi dopo le complesse operazioni finanziarie che ne avevano ridisegnato la struttura finanziaria nel 2017 e nel 2018. Le vendite sono cresciute del 3% mentre gli utili sono rimasti praticamente stabili se si escludono le componenti atipiche e i benefici fiscali contabilizzati nel 2018. Il margine industriale si mantiene stabile intorno al 70%, i costi operativi crescono leggermente per arrivare a un margine operativo lordo di circa 8 milioni che significa il 18.3% del fatturato. Nella parte finanziaria, il debito cala di 8 milioni di euro, che è lo specchio della generazione di cassa dell’azienda, con un piccolo contributo da una dismissione. Nessun cenno alla strategia e all’impatto del COVID nella relazione degli amministratori. Resta intatta la conclusione del commento del bilancio 2018 che mi sono andato a rileggere: bella azienda ma caricata di debito (per esplicita decisione dei suoi azionisti). Passiamo al commento.

    Le vendite crescono del 3% a 43 milioni di euro, con una crescita nel mercato italiano del 2.9% e del 4.6% all’estero, che però resta marginale con soltanto 1.9 milioni di fatturato e nessun segnale di sviluppo significativo negli ultimi anni.
    Il margine dopo gli acquisti si mantiene poco sopra il 70%, mentre crescono del 6% le altre spese operative. Questo si traduce in un margine operativo lordo stabile a 7.9 milioni di euro, quindi un margine in calo dal 18.9% al 18.3%.
    Sotto l’utile operativo, che riflette esattamente quanto detto sopra, si intrecciano diversi componenti. Gli utili “atipici” crescono da 1.6 a 2.1 milioni di euro, ma le tasse si normalizzano, per arrivare a un utile netto di 5.2 milioni di euro contro i 6.2 milioni del 2018.
    La struttura finanziaria migliora, con un indebitamento finanziario netto in calo da 55 a 46 milioni di euro per un rapporto sul MOL che passa da 6.9 a 5.9 volte e sul patrimonio netto da 0.9 a 0.7 volte. Un buon risultato questo, frutto della generazione di cassa dell’azienda di circa 7 milioni di euro compreso il circolante (leggermente negativo) ma anche del taglio degli investimenti (0.8 milioni di euro, contro quasi 3 milioni di ammortamenti, e lo stesso è previsto per il 2020) e da una dismissione di un cespite non dettagliato per oltre 1 milione di euro. Dopo la scorpacciata degli ultimi 2 anni, gli azionisti non si sono invece pagati nessun dividendo.
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    Zonin – risultati 2019

    Zonin completa il primo anno nella sua nuova configurazione dopo che nella parte finale del 2018 erano state apportate all’azienda le tenute vinicole, storicamente rimaste di proprietà della famiglia. Il bilancio 2019 che presentiamo oggi è quindi “giusto” nel confronto tra la parte economica e quella patrimoniale: dopo l’ingresso dei nuovi azionisti Zonin ha 97 milioni di indebitamento (incluso 6 milioni circa di prestito dai soci) che si confronta con 22 milioni di euro di EBITDA, per un rapporto leggermente superiore a 4 volte, mentre come già avevamo rappresentato lo scorso anno il gruppo può contare su circa 230 milioni di euro di terreni e fabbricati a valore di bilancio, che dunque ampiamente coprono il debito. Dal punto di vista commerciale il 2019 ha visto un leggero calo delle vendite, tornate sotto 200 milioni, anche se viene specificato che lo scorso anno era stata contabilizzata la vendita straordinaria di 9 milioni di euro di vino sfuso che aveva sballato i confronti. La relazione degli amministratori parla in modo molto dettagliato dell’economia generale e del mercato del vino mentre quando si tratta di spiegare l’andamento dell’azienda, i conti e la strategia è particolarmente povera. Passiamo all’analisi dei dati.

    Le vendite 2019 calano del 2.5% a 197 milioni di euro (201 milioni di euro per quanto riguarda il valore della produzione). Dopo i dati molto strani del 2018 riguardo alla suddivisione geografica, i numeri tornano in linea con il passato, con 34 milioni di fatturato in Italia (dichiarati 55 nella stessa tabella, riportante la medesima dicitura, del bilancio 2018) e 163 milioni all’estero.
    La struttura dei costi vede i consumi di materie prime al 40% circa del fatturato (per un margine industriale del 60%), le spese generali e commerciali al 34% (di cui pubblicità e promozioni sono ben l’11% del fatturato) e il costo del personale a poco meno del 15% delle vendite, per giungere a un EBITDA rettificato di circa 22 milioni di euro (prima di considerare circa 1 milione di costi straordinari), pari dunque all’11% circa delle vendite. Gli ammortamenti salgono a 11 milioni per contemplare 3 milioni di ammortamento dell’avviamento e quindi l’utile operativo 2019 è poco sopra 10 milioni prima dei componenti straordinari e poco sotto nell’altra configurazione.
    I costi finanziari sono circa 7 milioni (piuttosto elevati rispetto al livello del debito) e insieme ad altri costi non ricorrenti portano a un utile netto di poco più di 1 milione di euro.
    Il debito sale da 94 a 97 milioni di euro, nonostante un miglioramento di circa 2 milioni del capitale circolante netto, dopo aver investito circa 8 milioni di euro (4% delle vendite).
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    Banfi – risultati e dati di bilancio 2019

    Nel 2019, Banfi ha continuato a investire in modo intenso sulla struttura produttiva. Il ciclo di investimenti che ormai continua quasi ininterrotto dal 2015 sta però cominciando a dare qualche frutto in termini di andamento aziendale: l’aumento delle superfici vitate riducono il bisogno di acquisti dall’esterno e i reimpianti stanno migliorando le rese (nel 2019 la produzione è stata superiore al 2018). Nonostante il calo registrato nel mercato americano, il più importante per Banfi, le vendite sono stabili poco sotto i 70 milioni e si cominciano a intravedere alcuni segnali positivi in termini di margini di profitto, con l’EBITDA tornato al 14% delle vendite. Bisogna immaginare che il 2020 subirà un impatto pesante dal COVID, tanto più considerato il posizionamento di Banfi nell’alto di gamma e nella ristorazione. L’azienda ha però, sia nella parte commerciale che in quella agricola, un attivo materiale importante (circa 85 milioni di euro) a fronte di un debito di soli 30 milioni di euro (in crescita dai 24 dell’anno scorso a causa degli investimenti). Passiamo all’analisi dei dati.

    Le vendite sono stabili a 69 milioni di euro (di cui 2.4 milioni derivante dalle prugne), con un andamento abbastanza variegato tra le diverse aree. Per il secondo anno consecutivo calano le vendite in Italia a circa 24 milioni di euro, compensate da un incremento del 5% circa di quelle nel resto d’Europa, che lasciano il totale europeo invariato. Sono invece scese di nuovo da 24 a 22 milioni di euro le vendite nel mercato americano.
    I margini sono in miglioramento a livello di EBITDA grazie soprattutto alla parte agricola che rappresenta circa 7 dei 9.5 milioni di euro da noi ricalcolati come valore consolidato. Il margine risale al 14% dal (minimo) del 13% dello scorso anno.
    I forti investimenti determinano un incremento degli ammortamenti e quindi a livello di utile operativo e di utile netto si perde un po’ del beneficio. L’utile operativo risale a 2.5 milioni (2.2 nel 2018), l’utile netto torna al livello del 2017 di 1.6 milioni.
    Dal punto di vista finanziario, Banfi vede un incremento del debito netto da 24 a 30 milioni di euro a fronte di un incremento del patrimonio da 119 a 121 milioni. Il rapporto tra debito e EBITDA sale da 2.7 a 3.1 volte.
    Gli investimenti sono stati 12 milioni di euro, ben oltre i 10 dello scorso anno, contro una generazione di cassa stimata intorno a 9 milioni di euro. Oltre a questi due elementi, nel 2019 ha giocato contro il capitale circolante, cresciuto di circa 2 milioni di euro (sommando le variazioni delle due unità del gruppo). Come negli anni scorsi, gli azionisti di Banfi non hanno prelevato alcun dividendo.
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    Laurent Perrier – risultati e analisi di bilancio 2019

    Con la chiusura a marzo 2020, Laurent Perrier è stata marginalmente lambita dalla crisi COVID. I numeri che sono stati presentati sono comunque positivi e seguono la linea degli ultimi anni, e cioè: incremento del prezzo-mix (+4.5% nell’anno) a discapito dei volumi (-6%) con lo spostamento sulle cuvee speciali (41% delle vendite), internazionalizzazione del business (Francia sotto il 20%) e mantenimento di una struttura finanziaria molto solida (valore del magazzino doppio rispetto all’indebitamento finanziario). Gli utili sono rimasti pressochè stabili a fronte del leggero calo delle vendite e dell’incremento degli ammortamenti, ma la generazione di cassa è migliorata e ha consentito sia di aumentare i dividendi (sempre molto pochi peraltro) e di ridurre il debito. Possiamo dunque dire che Laurent Perrier si presenta in piena forma pronta per superare la prova COVID. Passiamo ai numeri.

    Le vendite calano dell’1% a 231 milioni, a fronte di un calo dell’11% in Francia (complice anche la riduzione strutturale del business all’ingrosso), di vendite stabili in Europa (101 milioni) e di un incremento del 9% nel resto del mondo, che resta il vero motore di crescita del gruppo. In termini di volumi, le vendite sono scese da 11.8 a 11.1 milioni, -6%, compensato da un quasi corrispondente incremento del prezzo mix (+4.5%).
    L’incremento dei prodotti speciali (dal 40.9% al 41.2% del totale) e lo spostamento verso nuovi mercati aiuta il margine industriale, che sale di 1 punto dal 49.8% al 50.8%, ma ovviamente determina maggiori costi operativi sia commerciali che generali, oltre che richiedere maggiori investimenti. Così, la metà di questo 1 punto di beneficio si perde a livello di EBITDA e la quasi totalità a livello di utile operativo, che passa dal 17.6% al 17.8% delle vendite ed è stabile in valore assoluto a 41 milioni di euro. Nessuna novità su tasse e oneri finanziari, talchè si scende con un utile netto prossimo a 28 milioni di euro, +3%.
    La generazione di cassa è cresciuta del 4% a 32 milioni di euro, che sono andati a coprire l’aumento del circolante per 16 milioni (principalmente magazzino, quindi si tratta di una specie di “investimento”), agli investimenti per 3 milioni (una tregua dopo i forti investimenti degli ultimi 5 anni, mediamente erano 10-11 milioni) e ai dividendi per 7 (erano 6 l’anno scorso). Più o meno la differenza tra queste voci corrisponde al miglioramento di 6 milioni dei debiti, da 283 a 277 milioni (abbiamo tolto dal numero ufficiale l’impatto falso di IFRS16).
    Poco, molto poco, si dice come sempre sulle prospettive, salvo che non ci sono problemi di liquidità e non ci sono problemi nelle operazioni del gruppo. Staremo a vedere, sicuramente le altre aziende della Champagne sembrano essere più vulnerabili.
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    Yantai Changyu Pioneer Wine – risultati 2019

    Le notizie provenienti dalla Cina circa le difficoltà nella produzione di vino e di un mercato domestico non più così positivo sembrano molto ben riflesse nei dati di Changyu Pioneer Wine, di cui presento quello che sono riuscito a mettere insieme leggendo il bilancio cinese (in inglese, ma sempre un bilancio cinese). I volumi di vendite di vino nel 2019 sono in calo (e non di poco, -15%), vendite sono in leggera discesa (grazie alla crescita del brandy e del prezzo mix), i margini industriali un tempo molto elevati restano su livelli più moderati e l’azienda genera meno cassa del passato, nonostante abbia decisamente tagliato gli investimenti (dopo la scorpacciata degli ultimi anni). Naturalment resta un’azienda estremamente profittevole, con circa 650 milioni di vendite, 115 milioni di euro di utile netto e una cassa di quasi 100 milioni da investire. Ma come vedete anche dai grafici allegati, che dicono più di mille parole, non sta andando nella direzione auspicata. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Changyu Pioneer Wine ha realizzato 5 miliardi di yuan di vendite nel 2019, di cui il 76% nel vino (in calo del 4%) e il 21% nel brandy (in crescita del 7%). Queste due componenti combinate a una quota marginale di altre vendite messe insieme fanno il calo di cui dicevamo sopra del 2% a livello consolidato. Il calo sembrerebbe principalmente legato al -16% realizzato nei mercati esteri, mentre la componente domestica che vale poco meno del 90% è rimasta stabile.
    I volumi sono la ragione principale dell’andamento del fatturato: la produzione di vino cala del 15% a 96mila tonnellate (lo converto con qualche patema d’animo in circa 1 milione di ettolitri), mentre quella di brandy è stabile a 39mila.
    Il margine industriale cala al 62.5% dal 63% dello scorso anno soprattutto per il cambiamento di mix delle vendite verso il brandy, dove i margini sono leggermente sotto il 60% rispetto al 63.5% del segmento vino.
    Non sappiamo molto altro di questo bilancio salvo l’utile netto di 892 milioni di yuan, 115 milioni di euro, in calo dell’8% sull’anno scorso e sul cash flow, -14% a 838 milioni di yuan. Non riusciamo a ricostruire il cash flow, ma è evidente il calo degli investimenti, da 500 a 200 milioni di yuan (dal 10% al 4% del fatturato), ma dopo i colossali investimenti per costruire la famosa città del vino. L’azienda ha infatti investito tra il 2012 e il 2017 quasi 6 miliardi yuan in tutto.
    Vi lascio ai numeri e alle tabelle, ricordandovi che il 17% di questa azienda è di proprietà di ILLVA, di proprietà a sua volta della famiglia Reina, il cui leader Augusto è mancato recentemente. Un grande imprenditore.
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