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    Il commercio mondiale di vini sfusi – aggiornamento 2022

    Il grafico qui sopra credo fornisca un quadro piuttosto chiaro dell’evoluzione del mercato mondiale dei vini sfusi, almeno dal punto di vista dei volumi: declino strutturale. Le ragioni possono essere diverse. La più evidente è forse quella della qualità, meno vino ma più buono, e questo va in bottiglia. Però la spiegazione non può fermarsi qui. Per esempio, la Nuova Zelanda esporta vino sfuso a un prezzo molto più alto della media, il che significa che lo spediscono per l’imbottigliamento locale vino sfuso. Penso che questo sia possibile grazie alla scala rilevante (tanti volumi) delle operazioni delle aziende locali, oltre che dalla mancanza di regole (sempre locali) che obblighino all’imbottigliamento locale del prodotto. I numeri del 2022 di UN Comtrade danno un valore esportato di 2.66 miliardi di euro, +6% sul 2021 ma molto meno dei 3 miliardi e più degli anni pre-Covid e un volume scambiato di 35 milioni di ettolitri, -6%, in calo da ormai qualche anno. La Spagna domina, la Nuova Zelanda cresce, l’Italia recupera nel 2022 ma resta ben sotto i livelli del passato. Passiamo a un breve commento dei principali dati.

    Con una quota di mercato del 20% del valore scambiato e del 33% del volume totale, la Spagna domina il trade mondiale di vini sfusi. Nel 2022 sono stati esportati 11.5 milioni di ettolitri per un valore di 534 milioni di euro (+11%, ma -2% annuo su 5 anni). Il prezzo medio risultante 46 euro a ettolitro contro la media di 76 vi può dare l’idea del “tipo” di leadership della Spagna, basato sull’esportazione massiccia di volumi di prodotto di qualità medio bassa.
    La Nuova Zelanda invece sta in questo post “per sbaglio”, nel senso che esportando a una media di 283 euro per ettolitro, ovviamente non sta vendendo prodotto da usare per produrre altri vini, ma sta semplicemente (immaginiamo) spedendo cisterne di vino nei mercati di destinazione per l’imbottigliamento in loco. Con 341 milioni di euro è la seconda nazione in questo segmento, con una quota di mercato del 13% e un incremento del 19% (+8% annuo dal 2017).
    L’Italia torna a essere il terzo player, con 304 milioni di vendite e 3.74 milioni di ettolitri di esportazione, al pari dell’Australia in volume che lo scorso anno l’aveva superata. I dati sono migliori del 2021 (+13% a valore) ma si inseriscono in un trend discendente (-5% annuo su 5 anni).
    Gli altri esportatori di vino sfuso sono l’Australia, con 303 milioni, ossia uguale all’Italia, il Cile con 286 milioni di euro e la Francia, più distante, con 186 milioni di euro. Nessuno di questi esportatori ha una variazione positiva sul quinquennio.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Esportazioni di vino Italia – aggiornamento agosto 2023

    I dati ISTAT sulle esportazioni di vino di agosto sono sostanzialmente allineati a quanto visto negli ultimi mesi, forse con qualche timido segnale di miglioramento che però essendo agosto va preso molto con le molle. Dunque le esportazioni calano del 3% nel mese (era -4/-5% nei mesi immediatamente precedenti) ma si vede un rimbalzo dei volumi +3% (in calo quasi sempre nell’ultimo anno con rare eccezioni). In valore assoluto le nostre esportazioni sono 5 miliardi di euro negli otto mesi, -1.4% rispetto a 5070 milioni lo scorso anno, quindi con una perdita di 69 milioni di euro in valore assoluto. I volumi sono 14 milioni di ettolitri, -1% con una perdita di 141 mila ettolitri. Forse il discorso è semplicistico ma un calcolo vi fa rendere l’idea di quello che sta succedendo. Se prendiamo USA e Canada insieme, fanno 1411 milioni di euro fino ad agosto, mentre lo scorso anno, stesso periodo facevano 1569 milioni. Quindi sono quasi 160 milioni in meno rispetto ai 70 circa persi a livello “mondo”. Come dire, tutto il resto cresce salvo che per il Nord America. Prima di passare ai dettagli, va notato che in agosto è stato negativo anche l’andamento degli spumanti, -1.5% nel mese, soltanto il secondo segno “-“ nell’era post Covid.

    Con 550 milioni di euro in agosto, -2.8% sul mese 2022, il commercio estero del vino italiano acuisce il calo da inizio anno all’1.4%, per 5 miliardi di euro, mentre se si valuta il dato sugli ultimi 12 mesi, i 7801 milioni restano ancora leggermente (+1%) sopra il dato corrispondente.
    I dati sui volumi sono leggermente meno negativi negli ultimi mesi, tanto che in agosto si è rivisto un incremento del 3% ma sono allineati ai valori sui primi 8 mesi (-1%) e restano più negativi sugli ultimi 12 mesi (-1.5% a 21.8 milioni di ettolitri).
    I dati di agosto sono più volatili del solito, visto i numeri più bassi. Ad ogni modo, i mercati più negativi tra “i grandi” sono certamente USA e Canada -9% e -20% nel mese, per un saldo da inizio anno di -8% e -18%. Per il resto troviamo dati piuttosto “discordanti” rispetto ai trend dei mesi precedenti, con per esempio a Russia in forte calo in agosto e a Francia praticamente stabile, contro dati molto più positivi del passato. Viceversa, Germania e Regno Unito hanno dati migliori.
    Se guardiamo alle categorie, i vini fermi in bottiglia sono in calo de 5% nel mese di agosto, e portano i saldo alla fine di agosto a -3.3%. I vini sfusi sono a +11% nel mese e a +3% da inizio anno e i vini spumanti restano su un +3% da inizio anno ma hanno un mese negativo in agosto (-1.5%).
    Vi lascio alla consultazione delle tabelle.

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    Classifica fatturato e valore aggiunto delle aziende vinicole italiane 2022 – fonte: Area Studi Mediobanca

    Mediobanca Research ha pubblicato l’elenco delle principali aziende italiane con i dati finanziari da cui noi ricaviamo questa “classifica”, aggiornata oggi al 2022. L’insieme di queste 30 aziende vinicole di cui riportiamo i dati di fatturato e valore aggiunto oggi hanno avuto un ottimo 2022, come avete anche potuto leggere su queste pagine nei commenti ad-hoc dei bilanci. Se le mettiamo insieme il fatturato cuba circa 5.6 miliardi di euro, +14% sul 2021, e il valore aggiunto 1.2 miliardi di euro, +11%, a segnalare l’impatto dell’inflazione più forte sui costi che sul fatturato. Come vedremo nei prossimi giorni però i costi del personale e gli investimenti sono cresciuti molto meno e quindi hanno consentito un deciso miglioramento dei margini. La classifica del fatturato è sempre guidata da Cantine Riunite GIV e da Caviro, anche se con il 2022 si sono “compiute” le combinazioni di Argea (che crescerà ancora) e di Italian Wine Brands, entrambe nell’intorno dei 400 milioni di fatturato. La classifica del valore aggiunto è da sempre il regno di Antinori e lo sarà sempre di più in futuro con l’integrazione di Stag’s Leap. Come potrete notare le crescite di valore aggiunto più marcate sono state quelle delle aziende integrate (Antinori, Frescobaldi, Lunelli, in parte Santa Margherita) avendo subito meno l’incremento delle materie prime. Passiamo a commentare qualche dato insieme.

    Se guardiamo al valore aggiunto, le principali aziende vinicole italiane sono Antinori, Santa Margherita, Frescobaldi, Argea e Caviro. Se escludiamo le cooperative la crescita nel 2022 è stata ben superiore al 10% per tutte e, allargando l’orizzonte al medio termine, nell’intorno del 10% annuo, con l’eccezione di Argea (Botter al tempo) che viaggia vicina al 20% ma con un deal molto importante. Riteniamo questa la vera rappresentazione della classifica delle aziende vinicole italiane, molto più significativa di quella del fatturato.
    Se passiamo al fatturato, come dicevamo sopra Cantine Riunite GIV si avvicina a 700 milioni di euro, +10%, Argea diventa la seconda cantina con 425 milioni di fatturato a +43%, Caviro diventa terza a 417 milioni, +7%, Poi viene Italian Wine Brands con 391 milioni e +25% (grazie a un pezzo di acquisizione, come per Argea) e Antinori figura al quinto posto per fatturato con 322 milioni e una crescita del 21%.
    Le crescite del fatturato dei leader nel medio termine (5 anni annualizzato) sono del 3% circa per Cantine Riunite e GIV, del 19% per Argea (ma c’è dentro il raddoppio dell’acquisizione), del 7% per Caviro, del 21% per IWB (anche qui compresa super acquisizione) e dell’8% circa per Antinori e CAVIT. Segnalerei anche il +9% annuo di Santa Margherita, che mi sembra un dato particolarmente positivo.
    Vi lascio alle tabelle e ai grafici animati.

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    Vendite al dettaglio di vino (GDO Italia) – dati Circana, primi 9 mesi 2023

    Fonte: dati Circana rielaborati da inumeridelvino.it
    Le vendite al dettaglio di vino proseguono nel rallentamento anche nel terzo trimestre 2023, che ha visto la GDO segnare un incremento di vendite del 2%, fatto di un calo dei volumi del 3% e di un aumento dei prezzi ancora sostenuto, del 5% anno su anni. Gli spunti di riflessione non sono diversi da quelli già fatti in passato: nei vini fermi i rosati crescono più di tutti (da una base molto limitata), +5% circa, quelli bianchi sono a +3% (un po’ meglio del primo semestre), mentre quelli rossi, già più deboli che in passato passano in territorio leggermente negativo. Si tratta anche di una questione di prezzo: i vini rosati e fino ad ora quelli bianchi sono stati mediamente un po’ meno cari dei rossi. Gli spumanti mantengono un trend decisamente più sostenuto (+7%) grazie ai volumi ancora leggermente in crescita, mentre per quanto riguarda l’andamento del prezzo medio siamo all’incirca sui medesimi livelli del vino fermo, 6% contro 5%. Bene, ci avviciniamo all’ultimo trimestre, che lo scorso anno era stato il 31% delle vendite di vino fermo e il 37% delle vendite di vino spumante… come dire, un trimestre che vale un quadrimestre. E ci avviciniamo purtroppo con dei dati macroeconomici piuttosto deboli (PIL invariato nel terzo trimestre, fiducia dei consumatori bassa) e probabilmente bollette un po’ più care… vedremo a inizio febbraio. Intanto facciamo una breve analisi dei dati.

    Le vendite al dettaglio di vino nel terzo trimestre sono state 713 milioni nella GDO, +2%, con un incremento dell’1% dei vini fermi, 547 milioni, e del 6.6% degli spumanti italiani, 159 milioni di euro. Lo Champagne scende del 17% ma vale solo 7 milioni. Sui 9 mesi le percentuali sono leggermente migliori: +3% per il totale (2.1 miliardi di euro), +2.3% per i vini fermi, 1636 milioni, e +6.3% per gli spumanti 435 milioni.
    I volumi sono alla base del rallentamento di cui sopra. Calano del 3% per il totale a 1.75 milioni di ettolitri, di cui 1.5 milioni di ettolitri sono vini fermi (-3.5%). Si tratta comunque di un calo in leggera moderazione, visto che i 9 mesi sono -4% per 5.3 milioni di ettolitri.
    Nei grafici allegati trovate diversi dettagli, dove si evince dove stiamo rispetto alla base del 2019: le vendite in euro sono del 13% superiori per i vini fermi (in quasi 4 anni), del 40% più alte per i vini spumanti. I volumi di vendita sono calati del 2.5% per i vini fermi e cresciuti del 26% per i vini spumanti.
    Andando più a fondo trovate una leggera ripresa per i vini a denominazione, per quanto la categoria migliore sia stata quella dei vini IGT nel corso del 2023. I vini comuni si sono stabilizzati dopo il rimbalzo del 2022. Nel segmento degli spumanti, come vedete sono sempre gli “Charmat secchi” a guidare la crescita, ormai al +50% sul 2019. LEGGI TUTTO

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    La classificazione per fasce dei grandi vini secondo Liv-Ex – aggiornamento 2023

    Nel 1855 in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi e per iniziativa di Napoleone III i francesi introducevano il sistema di classificazione dei vini di Bordeaux in cinque fasce di qualità, sulla base della reputazione e del costo di produzione dei vini. Questo sistema è immutato da quell’anno, se si fa l’eccezione per paio di modifiche, nel 1856 e nel 1973 (Château Mouton Rothschild passato dalla seconda alla prima fascia). Se ci pensate, una iniziativa straordinariamente lungimirante e anticipatrice dei tempi.
    L’argomento del post di oggi è la rielaborazione in chiave commerciale di questa classificazione, fatta dal Liv-ex, con due importanti differenze. La prima è che i vini non sono solo di Bordeaux ma sono tutti i vini pregiati del mondo. La seconda è che il sistema si basa su un parametro essenziale: il prezzo medio a cui questi grandi vini sono scambiati sulla piattaforma. Ovviamente, di quello che stabilirono nel 1855… non c’è rimasto molto. Partiamo con qualche considerazione.

    I vini nella classifica sono circa 296, di cui circa 200 francesi e un centinaio dal resto del mondo e dentro il resto del mondo l’Italia rappresenta i due terzi. La prima cosa curiosa in questa nuova classifica è che… non è una piramide (vedere grafico). Come mai? Se volessimo fare una vera piramide con tre lati uguali, dei 296 vini soltanto 12 finirebbero in prima fascia e… di questi 12 neanche uno dei cinque Bordeaux del 1855 finirebbe nella selezione, dominata dai vini della Borgogna. Meno che meno apparirebbero vini italiani, relegati nella seconda fascia. Dunque? Immaginerei che oltre all’opportunità commerciale di avere una prima fascia e seconda fascia “cicciottella”, non sarebbe stato simpatico mettere completamente al bando il lavoro del 1855!
    Fatto questo cappello introduttivo, guardiamo a chi sta dove. La classifica generale vede primeggiare senza troppe sorprese tre vini di Domaine de la Romanée-Conti: il Romanée-Conti, La Tâche e il Richebourg. Prezzi per bottiglia? 19500, 5500 e 4300 sterline rispettivamente. Poi viene lo Chambertin di Armand Rousseau (3700 sterline) e il primo Bordeaux, Chateau Petrus a 3351 sterline.
    Nella prima fascia ci sono otto vini italiani, sul totale di 63. Abbastanza sorprendentemente, non è il Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno a primeggiare, bensì il Barolo Pié Franco di Cappellano, con 874 sterline rispetto a 829 del Monfortino. Con questi altri tre baroli piemontesi sono presenti (il Monvigliero di GB Burlotto, il Brunate di Giuseppe Rinaldi e il Falletto Vigna le Rocche Riserva di Bruno Giacosa), mentre i vini toscani sono in totale tre: il Masseto, il Brunello di Montalcino Riserva di Biondi Santi e il Soldera Case Basse (che non è più classificato Brunello di Montalcino).
    Sono proprio il Barolo di Rinaldi e quello di Cappellano a compiere il balzo maggiore, essendo non presenti nella precedente classificazione del 2021, mentre altre nuove entrate in posizioni di primo piano sono relative ai vini di Vietti (Villero Riserva e Rocche di Castiglione), Marroneto in Toscana, Romano dal Forno in Veneto (Amarone Monte Lodoletta) e il nuovo Barolo Cerretta di Giacomo Conterno.
    Solo buone notizie? Ci sono anche alcune retrocessioni, moderate. Bartolo Mascarello, Luciano Sandrone, Chiara Boschis, Petriolo, Le Pupille, Altesino, Bibi Graetz, Elio Grasso e Sette Ponti hanno visto uno dei loro vini retrocesso di una fascia di qualità.
    Per chiudere e fare un giochetto, quale potrebbe essere la classificazione solo italiana, fatta con cinque fasce? Beh se la matematica non è un’opinione (sarò onesto, ho usato l’intelligenza artificiale per farmi dire come dividere le fasce), dei 65 vini dovrebbero essercene soltanto 3 in prima fascia e 8 in seconda. Quindi il top 3 italiano sarebbe Barolo Piè Franco di Cappellano, Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno e Masseto in Toscana.
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    Intervista su “The digital wine”

    Ebbene, questo giro non scrivo, ma parlo!
    Grazie all’iniziativa di Rolando Mucciarelli e del suo The Digital Wine, questa sera non leggete ma se avete tempo e voglia, mi ascoltate.  Attenzione, dura mezz’oretta!
    (e il post originariamente programmato per stasera va a domani sera)
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    Zonin – risultati 2022

    Il 2022 di Zonin si chiude con ricavi stabili e margini in crescita, una volta depurati degli oneri non ricorrenti. La barriera dei 200 milioni di fatturato è stata superata di nuovo dopo la crisi del Covid ma la crescita è stata limitata dal mercato italiano. Dall’altra parte, il miglioramento dei margini è venuto dal miglioramento del margine industriale e da ulteriore calo delle spese pubblicitarie che ha compensato i maggiori costi del personale. La situazione finanziaria è anch’essa in progresso con un calo del debito di 5 milioni a 87, per un multiplo sull’EBITDA di 5 volte. Il primo trimestre 2023 è stato stabile ma gli amministratori specificano che è stato siglato un nuovo accordo di distribuzione su diversi stati del mercato americano con RNDC (Republic National Distribution Company), il secondo distributore di vino del paese. Gli obiettivi per il 2023 restano concentrati sulla crescita dei margini, questa volta però anche derivanti dall’aumento del fatturato. Passiamo a una breve analisi dei numeri.

    Le vendite sono dell’1% sopra il 2021, a fronte di un calo del fatturato italiano del 9% a 34 milioni e di un incremento di quello estero del 3% a 166 milioni di euro.
    La leggera diminuzione dei costi delle materie prime (-1%) e il contenimento dei costi commerciali (soprattutto pubblicitari e promozionali, questi scesi del 12%), ha consentito un recupero dei margini di 1 punto percentuale circa, dal 7.7% all’8.6% per l’EBITDA e dal 2.9% al 3.6% per l’utile operativo. In termini assoluti, le due metriche crescono del 13% a 17 milioni e del 25% a 7 milioni rispettivamente.
    Le poste rettificative sono piuttosto importanti e sono relative alle spese di consulenza e di esecuzione della riorganizzazione aziendale (1.6 milioni) e a una serie di svalutazioni di attivi non strategici (1.8 milioni) che sono stati o verranno ceduti nel 2023, per accelerare ulteriormente la riduzione del debito. Viene poi correttamente rettificata la posta di ammortamento dell’avviamento, che da sola conta quasi 3 milioni di euro, per un totale di 6.4 milioni di euro di rettifiche totali. Senza contare le rettifiche l’utile operativo sarebbe stato poco sopra il pareggio.
    Il bilancio si chiude con un leggero incremento degli oneri finanziari per via dei tassi di interesse ma anche con un rilevante credito fiscale per la perdita dichiarata. Dopo queste poste il bilancio resta negativo per circa 2 milioni di euro (non rettificato).
    Il debito cala a 87 milioni, -5, per un rapporto che passa da 6 a 5 volte l’EBITDA. Da notare che l’azienda sta cedendo attività, inclusi alcuni vigneti. Nel 2022 questi disinvestimenti hanno contribuito per 5 milioni, dopo i 3.2 del 2021, ma sono stati compensati da investimenti per 8 milioni, contro i quasi 7 del 2021. La riduzione del magazzino e l’ottimizzazione del capitale circolante hanno portato altri 6 milioni di euro circa.

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    Fantini Wine Group – dati di bilancio 2022

    Fantini Wine Group chiude il 2022 con dei buoni risultati, benchè al di sotto delle aspettative di inizio anno. Come molti altri, il gruppo ha fatto fronte nel 2022 a un ulteriore ribilanciamento dei canali di vendita, dall’off-trade dominante nel periodo Covid all’on-trade. Tale tendenza è destinata a continuare anche nel 2023, soprattutto per un gruppo così attivo fuori dall’Italia. Lo spostamento ha alcune implicazioni sul bilancio, a nostro avviso: una pressione sulle vendite (soprattutto, ma non solo) in volume, in quanto il mix dei ristoranti è migliore di quello della grande distribuzione, un margine superiore, che è quello che vediamo dal bilancio 2022 e un miglioramento dei termini di pagamento, ed è una seconda cosa positiva che notiamo nel bilancio di Fantini. Quindi, vendite stabili sui 90 milioni e migliori margini (solo marginalmente se rettificati dalle componenti straordinari), un utile leggermente superiore al 2021 e, soprattutto, un forte calo dell’indebitamento netto da 72 a 60 milioni di euro, aiutato anche dai minori investimenti oltre che dal circolante più limitato. Le prospettive per il 2023 sembrano caute ma non pessimistiche, nello specifico “i primi mesi del 2023 stanno confermando la solidità del volume d’affari del Gruppo. Al consolidamento dei volumi nei canali di vendita della grande distribuzione si aggiungono i forti segnali di ripartenza a pieno ritmo del comparto ho.re.ca.”.

    Le vendite 2023 sono stabili a 90 milioni di euro con un incremento dell’11-12% nei paesi extraeuropei, ossia Asia (10 milioni) e Americhe (13 milioni) e un leggero calo del 4% nei paesi europei, dopo un ottimo 2021. Le vendite sono per la stragrande maggioranza rappresentate da vino in bottiglia.
    Il margine industriale del gruppo migliora leggermente, con l’incidenza del costo del venduto che cala dal 54.5% al 53.1% delle vendite, compensato in parte dall’aumento degli altri costi legato alle dinamiche inflazionistiche. Ne risulta un EBITDA non rettificato di 17 milioni, +1 punto percentuale al 21%, ma se depurato delle componenti non ricorrenti il dato di 20 milioni e 22% è molto simile a quello del 2021. Con oneri finanziari, ammortamenti e tasse praticamente stabili si arriva a un utile netto di 6.3 contro 6.0 del 2022.
    Le notizie migliori vengono come dicevamo dal debito, perché lì il miglioramento è importante. Il circolante non sale, gli investimenti passano da 4 a 1 milione, gli azionisti si sono pagati un dividendo doppio ma molto limitato in valore assoluto. Insomma l’indebitamento passa da 72 a 60 milioni di euro, da 3.9 volte l’EBITDA a 3.1. Il forte impatto del “leverage buy out del 2020 si stanno gradualmente assorbendo.

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