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    Lanson BCC – risultati primo semestre 2023

    Il rilancio di Lanson continua nel primo trimestre sulla medesima traccia già vista nel secondo semestre 2022, ossia un deciso miglioramento dei margini di profitto derivante dalla nuova strategia di  “développement en valeur” rispetto ai volumi. Nello specifico del primo semestre 2023 il mercato dello Champagne è chiaramente peggiorato (-5% in volume di spedizioni) e l’impatto sulle vendite di Lanson si vede, ma i margini sono letteralmente esplosi con un margine industriale passato dal 45% al 53% che ha consentito di più che compensare gli effetti inflazionistici. Risultato finale è un utile netto di oltre 11 milioni di euro, un debito non in calo anno su anno ma che si confronta con un magazzino cresciuto in modo significativo (e quindi è indice di una migliore “salute finanziaria”) e azionisti contenti perché oltre al fatto che le azioni quest’anno sono andate bene (+14% al 15 ottobre 2023), hanno anche ricevuto un dividendo più ricco dello scorso anno (di poco superiore al 2% in termini di rendimento). Le prospettive restano positive in termini di strategia anche se ovviamente l’azienda fa notare che il secondo semestre è più importante del primo, mentre noi facciamo notare che la base di confronto resta sempre facile, nel senso che se il margine industriale del 53% tiene i dati possono essere ancora molto interessanti (margine secondo semestre 2022 = 46%). Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Lanson BCC ha registrato una diminuzione del fatturato del 5.2% rispetto al primo semestre 2022, passando da 115 milioni di euro a 109 milioni di euro. La riduzione è stata generata da un forte calo nel mercato americano (-49% a 4 milioni), che resta comunque marginale e a una leggera riduzione in quello europeo, -4% a 49 milioni, mentre l’Asia è rimasta in leggera crescita e la Francia (48 milioni) stabile rispetto allo scorso anno.
    La redditività operativa è fortemente migliorata essenzialmente grazie al margine “industriale”, ossia quello calcolato dopo i consumi di materie prime, che balza dal 45% al 53% e dunque assorbe l’inefficienza determinata dai maggiori costi del personale (+5%) e dai maggiori ammortamenti. Risultato finale, l’EBITDA sale dal 15% al 21% a 23 milioni e l’EBIT passa dall’11% al 18% prima delle componenti non ricorrenti che l’anno scorso erano state positive.
    Nonostante tasse e oneri finanziari in crescita, oltre all’assenza di proventi straordinari dello scorso anno, l’utile netto è cresciuto del 14.6%, passando da 10.1 milioni di euro a 11.6 milioni di euro.
    Lanson BCC ha anche rafforzato la sua situazione finanziaria, non tanto in termini assoluti ma quanto relativi. Il debito netto è aumentato leggermente passando da 485 milioni di euro di giugno 2022 a 495 milioni di euro di giugno 2023, ma in un contesto di un incremento del magazzino da 491 a 524 milioni di euro (rapporto che scende da 1 a 0.94) e dopo aver pagato migliori di dividendi agli azionisti (6.6 milioni contro 4.9 dello scorso anno) oltre a un paio di milioni di acquisti di azioni proprie.

    Se siete arrivati fin qui……ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco LEGGI TUTTO

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    Delegat Group – risultati 2023

    Delegat’s ha vissuto un anno di crescita straordinaria nel 2023 (anno fiscale chiuso a giugno): le vendite sono cresciute del 15% con volumi saliti di quasi il 10% a 3.7 milioni di casse. Le previsioni sono rosee, con una vendemmia stabile e un piano di investimenti ambizioso: secondo le previsioni del management nel 2024 i volumi potrebbero crescere del 4%, fino ad arrivare a 4.1 miloni di casse nel 2026. Tale crescita non ha però determinato un corrispondente incremento dei profitti e, soprattutto, una generazione di cassa proporzionale. Il margine EBITDA, pur restando su livelli di assoluta eccellenza, scende al 34% e complice anche l’aumento del debito e dei tassi di interesse, di tutta la crescita delle vendite resta ben poco nell’utile netto… passato da 58 a 59 milioni, al di sotto dell’obiettivo scritto nel bilancio dell’anno scorso di raggiungere 60-64 milioni. L’acquisizione di una tenuta precedentemente affittata e l’incremento del magazzino hanno poi dato un ulteriore grattacapo agli investitori, con un debito salito da 250 a 320 milioni di dollari neozelandesi, da 2.2 a 2.7 volte l’EBITDA. Infine, le previsioni per il 2023 sono per un incremento dell’utile netto da 59 a 62-67 milioni (e già quest’anno hanno mancato l’obiettivo). Il risultato è che il valore delle azioni nel corso degli ultimi 12 mesi (a metà ottobre 2023) è calato del 25%, che significa un valore di mercato di circa 470 milioni di euro e un multiplo sul dato 2023 di 10x (EV/EBITDA) e 12x (EV/EBIT). Passiamo a un breve commento dei dati.

    Le vendite di 376 milioni di dollari balzano del 15% a fronte di un incremento dei volumi del 9% e un valore medio per cassa passato da 97 a 102 dollari, +6%. Le vendite in volume sono stabili nell’area Asia-Pacifico (0.7 milioni di casse), crescono dell’8% in Nord America (1.7 milioni di casse) e del 17% in Europa (1.2 milioni di casse).
    Le proiezioni per il 2024 sono di salire a 3.85 milioni di casse e di generare un utile netto tra 62 e 67 milioni di dollari, contro i 59 del 2023. Vedremo…
    Il margine EBITDA aggiustato scende dal 36.5% al 34%. Di questi 250punti di perdita, 120 punti vengono dal margine industriale, 40 da maggiori spese di marketing e la rimanente parte dai costi generali.
    A livello finanziario il debito purtroppo sale in modo importante a 320 milioni di euro. Di questo incremento di 70 milioni di euro, 25 sono dovuti al peggioramento del capitale circolante, 66 se ne sono andati in investimenti, tra cui l’acquisizione di una tenuta precedentemente in affitto e 20 milioni sono andati agli azionisti come dividendi (uguale all’anno scorso). 66+25+20=110 contro 70: ciò significa una generazione di cassa dalle operazioni di 40 milioni.

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    Vintage Wine Estates (VWE) – risultati 2023

    Mamma mia che incubo. I dati di Vintage Wine Estates a giugno 2023 si sono rilevati essere un vero e proprio incubo, rispetto a quanto prospettato durante l’introduzione in borsa. Introduzione che era partita con un valore di borsa di 600 milioni di dollari, calata a 200 milioni alla fine del primo anno e ora virtualmente azzerata, con le azioni che trattano a meno di 1 dollaro, esprimendo un valore di mercato di 34 miloni di dollari (25 ottobre). Gli obiettivi per il 2023 sono stati mancati in maniera clamorosa non tanto in termini di vendite (283 milioni rispetto a 300-310 previsti) quanto dal punto di vista dei margini di profitto. Invece di 60 milioni di EBITDA l’azienda ha presentato una perdita di 11 milioni. Niente acquisizioni, anzi nel 2024 sono previste delle dismissioni per cercare di tenere in piedi la baracca, che ha un debito netto che calcoliamo in circa 283 milioni di dollari. L’ambizione di oltre 100 milioni di dollari di EBITDA per il 2026 è ovviamente un miraggio (e non viene più menzionata): le indicazioni per il 2024 (chiusura a giugno) parlano di un fatturato tra 260 e 270 milioni, quindi in calo del 5-10% e di un EBITDA che secondo i miei calcoli atterrerà intorno al pareggio (3 milioni) prima degli oneri di ristrutturazione (6 milioni a occhio) e un ulteriore taglio degli investimenti. Di fronte a tale disastro, l’azienda ha dovuto svalutare gli attivi intangibili, tagliando quindi il patrimonio netto anche più della perdita netta di 21 milioni (prima degli oneri di ristrutturazione). Passiamo a commentare qualche dettaglio…

    Le vendite calano del 4% a 283 milioni, essenzialmente a causa del segmento vino, -9% a 189 milioni, mentre la parte degli spiriti cresce dell’11% a 94 milioni.
    Dal punto di vista dei canali distributivi, se l’ingrosso continua a crescere, +3%, è la parte DTC, vendite dirette, che soffre, -10% a 83 milioni di euro.
    Il margine industriale resta intorno al 30% ma sono i costi operativi a impattare in modo importante, tanto che l’EBITDA (rivisto per il 2022 in base a nuove riclassifiche) cala da 16 milioni di dollari a -11 milioni.
    Con la svalutazione dell’avviamento si arriva a una perdita operativa monstre di 209 milioni di dollari, attenuata dai risparmi fiscali, a livello di utile netto, -189 miloni. Se togliamo ammortamento dell’avviamento (che calerà!) e oneri di ristrutturazione si arriva a una perdita operativa aggiustata di 33 miloni contro il -15 dello scorso anno.
    La parte finanziaria desta preoccupazioni. Il debito cala leggermente da 294 a 283 milioni a fronte di una vera e propria cura dimagrante degli investimenti, da 25 a 14 milioni (erano 39 nel 2020) e nessun dividendo. Nel 2024 sono previsti solo 12 milioni, 30 milioni di dollari di dismissioni… che dovrebbero consentire di mantenere la situazione finanziaria stabile. Intanto gli azionisti hanno perso quasi tutto il loro capitale… LEGGI TUTTO

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    Constellation Brands – risultati primo semestre 2023

    Che il 2023 non sia un buon anno per il vino in USA lo si legge molto bene dai dati pubblicati a inizio ottobre da Constellation Brands, relativi al secondo semestre dell’anno. Benchè nel complesso l’azienda continui ad andare bene (le indicazioni sugli utili a fine anno sono state alzate leggermente), ciò è legato alla crescita del segmento birra. Nella parte relativa al vino, che il secondo trimestre ha anche il suo trimestre più forte, le consegne sono calate del 18% a fronte di un “sell-out”, ossia vendite finali, in calo dell’8% (dopo il -6% del primo trimestre). Se dunque una parte del calo è da attribuire al “destocking” e ancora una piccola parte alle attività vendute, i dati sono poco incoraggianti e le indicazioni sul fine anno relative al vino (vendite stabili a parità di perimetro e +2/+4% per l’utile operativo) sono chiaramente a rischio a questo punto. Ne sapremo di più sulla strategia e sul futuro anche oltre il 2023, visto che l’azienda ha organizzato un “Capital Market Day” per inizio novembre. Per ora gli investitori dopo un’estate improntata al rialzo hanno punito il titolo in borsa, con un calo del 12% nell’ultimo mese (al 14 ottobre) che ha di fatto cancellato i progressi da inizio anno. Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite totali di CBrands sono salite del 7% a livello consolidato grazie alla birra (+12%), mentre per il vino le vendite calano del 13% e per gli spiriti addirittura del 18%. Il vino ormai rappresenta soltanto 384 milioni di dollari di vendite nel trimestre su un totale di 2.8 miliardi.
    A livello operativo i margini sono in crescita ma, di nuovo, tutto è legato alla birra. Nel segmento vino e spiriti (riportati insieme) l’utile operativo trimestrale cala del 19% a 81 milioni, per un margine del 18% rispetto al 19% dello scorso anno. Sui 12 mesi terminanti a fine agosto, come vi indica il grafico il margine è del 22.6% non distante da dove stava un anno fa. Si tratta di un risultato non eccellente ma va considerato anche il calo delle vendite e il minore assorbimento dei costi fissi.
    I volumi di vino scendono a 6.1 milioni di casse nel trimestre e 25 milioni sui 12 mesi, ormai molto distanti dai 70 milioni di casse che CBrands esprimeva nel 2016.
    A livello finanziario l’azienda ha un obiettivo di ridurre la leva a 3 volte l’EBITDA, il che richiederà qualche limitazione alla politica di remunerazione degli azionisti, come già si vede oggi: nei primi 6 mesi fiscali sono tornati agli azionisti “solo” 363 milioni di dollari contro i 1695 milioni dello scorso anno. Il debito che a fine anno era 11.1 miliardi di dollari è stabile a 11.0 miliardi, con un rapporto debito/EBITDA passato da 3.5 a 3.3 volte.

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    Duckhorn – risultati 2023 e prevision 2024

    I risultati 2023 di Duckhorn non hanno deluso le aspettative che il management aveva fornito: le vendite sono cresciute dell’8% a 403 milioni di dollari, l’EBITDA rettificato è andato oltre gli obiettivi a 145 milioni di dollari, +13% ma l’utile netto è salito un po’ meno delle attese a causa dell’incremento del costo del debito, +9% a 77 milioni. Purtroppo, il valore delle azioni si è più che dimezzato nel giro di un anno. Forse, oltre al fatto che gli investitori si aspettavano qualcosa di più, il colpo più secco (da un’analisi ex post) è venuto dalle indicazioni per il 2024 (luglio 2024), che indicano una crescita delle vendite e dell’EBITDA soltanto del 5-6% (quindi: margini stabili) e un utile netto stabile, a causa presumibilmente dell’incremento del costo del debito. Ora, tornando alle azioni, quando scrivevamo lo scorso anno le azioni stavano a 22 dollari, prima dei risultati erano tra 12 e 13 dollari e ora sono crollate a 10 dollari. Quindi al 3 ottobre, le azioni Duckhorn restituivano una valorizzazione di mercato di 1.2 miliardi di dollari, che diventano 1.4 miliardi con il debito. Tradotto in multipli sugli obiettivi 2024, stiamo parlando di 15 volte gli utili (oltre 30 lo scorso anno), 9 volte l’EBITDA (22x un anno fa) e 3.3 volte le vendite (quasi 8 lo scorso anno). Una valutazione decisamente più “umana”, soprattutto per un’azienda che ha buoni marchi (vedere all’interno), ben gestita ma che comunque compra il 90% delle uve all’esterno (e quindi non ha valore nelle vigne, o quasi), essendo quindi sottoposta a pressioni inflazionistiche. Bene, questo è il quadro, passiamo a un’analisi più dettagliata dei risultati.

    Le vendite a luglio 2023 salgono dell’8% a 403 milioni, grazie all’incremento dell’11% del segmento “ingrosso”, mentre le vendite dirette sono cresciute soltanto del 3%.
    L’incremento dei prezzi e del mix ha portato un +2.6%, mentre i volumi sono cresciuti del 5.6% nel 2023, contro il +1% e +9% registrato nell’anno precedente.
    I margini sono migliorati: il margine lordo passa dal 50% al 53.5%, il margine EBITDA dal 34% al 36% (ma resta sopra il 40%+ di qualche anno fa, quando peraltro l’azienda era metà di adesso). L’utile netto rettificato passa da 71 a 77 milioni, causa la risalita degli oneri finanziari, da 7 a 12 milioni.
    A livello finanziario gli investimenti sono balzati da 45 a 72 milioni, “mangiando” completamente la cassa generata dall’attività, passata da 69 a 70 milioni (anche a causa del forte incremento del magazzino). Pur non avendo pagato dividendi agli azionisti, il debito resta stabile, passando da 220 a 227 milioni di euro. Non un buon segno, particolarmente di fronte al rallentamento della crescita che il management ha previsto per il 2024.

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    Advini – risultati primo semestre 2023

    I progressi visti negli ultimi 2 anni nei conti di Advini sono rapidamente scomparsi con il rallentamento del primo semestre 2023 (crescita organica -4%, fatturato totale -1% grazie alle acquisizioni), cui si somma la svalutazione dello Zar sudafricano dove l’azienda ha investito molto e il rialzo dei tassi di interesse che batte su un debito non certo basso se proporzionato ai profitti (circa 9 volte l’EBITDA). Advini si trova dunque a fronteggiare un ulteriore giro di taglio dei costi con l’obiettivo che il secondo semestre possa ripianare le perdite maturate nel primo (circa 4 milioni di euro), portare a un calo del debito (anche grazie alla gestione del circolante e arrivare ai 300 milioni di fatturato, soglia già praticamente raggiunta nel 2022 (298). Passiamo a una breve analisi dei dati.

    Le vendite calano dell’1% a 140 milioni di euro, a causa di un -3.8% a livello organica, un contributo negativo dai cambi dell’1.7% e il “secondo pezzo” dell’aggiunta di Kleine Zalze in Sud Africa che ha portato 6.5 milioni, +4.6%.
    Advini (che non fornisce suddivisioni geografiche delle vendite) è andata meglio del mercato in UK/Irlanda (+7% contro +3%), Francia (+8% contro 0%), mentre ha perso quote nei paesi Scandinavi (stabile), in Asia/Oceania (-9%), in Canada (-17%, in un mercato peraltro in calo del 14%) e USA (un tonfo del -22% su un mercato in crescita del 4%).
    I costi delle materie prime sono costati 4 milioni di euro in più causa inflazione, oltre a 1 milione di aggravio sui costi del personale e 0.6 milioni sui costi energetici. La svalutazione dello Zar è costata 1 milione, mentre l’incremento dei tassi di interesse è costata quasi 2 milioni di euro in più.
    Mettendo insieme tutti questi pezzi si arriva al quadro che vedete qui sotto: un margine operativo lordo sceso da 11 a 7.4 milioni, in parte aiutato dal continuo incremento delle vendite dei marchi propri (saliti al 36% del fatturato e al 57% dell’EBITDA), un utile operativo in pareggio (anche a causa dei maggiori oneri finanziari dal nuovo perimetro di consolidamento) e una perdita netta di 4 milioni di euro.
    A livello finanziario le cose non vanno bene. Le rimanenze di magazzino crescono di oltre 10 milioni in un anno e il debito che stava a 144 milioni a giugno 2022 e 151 milioni a dicembre 2022, balza a 167 milioni. I dividendi pagati sono stati 3 milioni.

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    Italian Wine Brands – risultati primo semestre 2023

    IWB ha chiuso il primo semestre 2023 con un incremento del fatturato dell’11% a 197 milioni, frutto soprattutto delle acqusizioni messe a segno negli ultimi mesi (Enovation Brands e Barbanera), con un contributo della crescita organica del 2%. I margini sono tornati a crescere, anche se restano largamente inferiori a quelli dell’anno “record” 2021, con un EBITDA al 9% delle vendite circa (8% nel 2022, 12% nel 2021) e un utile netto rettificato che ha toccato quota 5.5 milioni, +32% sul 2022. Le prospettive del gruppo sono di mantenere e leggermente migliorare questi dati nel corso del secondo semestre. L’EBITDA consolidato è visto a 40-44 milioni di euro, contro 37 milioni pro forma del primo semestre 2022 (31 milioni di chiarati), ossia un progresso di 3-7 milioni di euro. Nel primo semestre a livello consolidato (e dunque non pro-forma) l’incremento è stato di circa 3 milioni, quindi contro un +9/13 milioni di chiarato per l’anno. Non ultimo, IWB sta promuovendo una semplificazione importante della struttura societaria dopo le numerose acquisizioni, che porterà le unità legali dalle attuali 10 circa a 5, con vantaggi sia di costi che di flessibilità. Dal punto di vista finanziario, il bilancio chiude con un debito di 139 milioni di euro (154 includendo IFRS16), il che corrisponde a un rapporto di circa 4.5 volte contro l’EBITDA degli ultimi 12 mesi, che scenderebbe a 3.7 se considerassimo il punto medio dell’obiettivo EBITDA per il 2023. Passiamo a un’analisi dei dati.

    Le vendite di 197 milioni sono cresciute dell’11%, con un +9% in Europa (-4% in Italia), +29% in Nord America (in parte grazie alle acquisizioni), +224% in America Latina e -9% in Asia Pacifico. A fine semestre le vendite in Europa erano il 71%, quelle italiane il 16%, America 10% e resto del mondo 3%.
    Dal punto di vista delle divisioni, la parte Ho.Re.Ca. è cresciuta del 70% a 30 milioni, la parte wholesale è +9% a 137 milioni e la parte distance selling scende del 9% a 29 milioni, di cui il canale online chiude a 9 milioni, -2%.
    I margini migliorano leggermente nonostante un leggero appesantimento sulle materie prime, che costa 0.2% circa e viene ottenuto con un deciso calo in termini relativi dei costi per servizi (costi energetici principalmente, destinati a scendere ancora nel secondo semestre), mentre il personale aumenta leggermente la sua incidenza. Ne deriva un EBITDA rettificato di 17.2 milioni, 8.7% contro 14.2 del primo semestre 2022, che valeva il 7.9% delle vendite.
    Gli oneri finanziari aumentano di 1 milione, gli ammortamenti di un altro mezzo, e si arriva quindi a un utile netto di 5.5 milioni contro 4.2 dello scorso anno.
    Le prospettive per il secondo semestre sono positive, come dicevamo. IWB si attende un ulteriore miglioramento dei margini, anche per il pieno effetto dell’incremento dei listini, e un miglioramento della generazione di cassa.

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    Concha y Toro – risultati primo semestre 2023

    La combinazione del mercato americano in rallentamento e dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’inflazione in generale ha avuto un impatto eccezionalmente negativo sui dati di Concha y Toro del primo semestre 2023, anche perché gli investimenti in marketing non si sono fermati. Le vendite sono scese del 9% a 365 miliardi di peso ma sono soprattutto gli utili ad avere sofferto, tornati a un livello tanto basso che non si vedeva da 10 anni a questa parte. Un numero su tutti: l’utile netto è passato da 41 miliardi dello scorso anno a 9.5 miliardi dei primi 6 mesi 2023. A soffrirne è poi la struttura finanziaria, con il debito che risale a 3.6 volte l’EBITDA da 2.4 di fine 2022. C’era da prevederlo, anche perché un andamento simile (anche se meno negativo) si era già visto nel secondo semestre 2022, quando l’utile netto era calato del 25% circa. L’azienda ha continuato a investire e nei suoi commenti scrive che si attende una “significativa accelerazione” nelle vendite durante il secondo semestre, supportata dagli investimenti nel marchio e nella capacità distributiva, che non sono mai stati tagliati. E proprio questa dichiarazione ha aiutato le azioni in borsa, salite di oltre il 10% nei giorni dell’annuncio. Il 26-08, data in cui scrivo, il valore in borsa di Concha y Toro è di circa 900 milioni di euro. Passiamo a qualche numero.

    Le vendite semestrali di 365 miliardi sono calate del 9%, soprattutto a causa del -17% nel mercato americano (53 miliardi) ma anche della debolezza delle esportazioni (-9.4% a 240 miliardi), mentre le vendite in Cile sono rimaste stabili.
    I margini hanno sofferto molto, come vedete dai grafici. A livello industriale il gross margin è sceso dal 39% al 36%, e il gap si è allargato in modo ancora più evidente sotto, a livello operativo, visto l’impatto dei costi fissi (ammortamenti, spese generali – queste ultime in crescita del 5% con il costo del personale a +9%) e degli investimenti in marketing (+10% nonostante il calo delle vendite). L’utile operativo scende da 49 a 19 miliardi, per un margine che passa dal 12% al 5% del fatturato. Come abbiamo già commentato sopra l’utile netto scende ancora di più colpito anche dai maggiori oneri finanziari sul maggiore debito e con tassi di interesse più elevati.
    A livello finanziario assistiamo a un incremento del debito sia a livello assoluto (da 322 a 375 miliardi di peso) che relativo (da 2.4 a 3.6 volte le vendite).

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